
L'attenzione sul protocollo Italia-Albania sembra essere calata ma in realtà i giudici pro migranti sembrerebbero essere ancora e sempre di più sul piede di guerra. Un pool di avvocati, giudici e attivisti che mese dopo mese, modifica dopo modifica continuano negli infiniti tentativi di boicottare la linea del governo in tema di rimpatri. L'esempio lampante è un'ordinanza di qualche giorno fa, il 19 aprile scorso, di cui ilGiornale è in possesso, emessa proprio dalla (solita) Corte d'Appello di Roma.
Si tratta di un uomo extracomunitario entrato illegalmente in Italia il 30 novembre del 2021. Per ben 3 anni e mezzo vive da irregolare nel nostro territorio, senza permesso di soggiorno. Motivo per cui lo scorso 31 marzo la Questura di Napoli dispone l'espulsione del migrante. Dopo quindi 3 anni e mezzo vissuti in clandestinità l'uomo viene portato prima nel Cpr di Potenza e poi, l'11 aprile, nel Cpr di Gjader in Albania per procedere al rimpatrio.
Proprio in quei giorni il migrante decide però di fare richiesta di protezione internazionale, mai fatta negli anni in Italia vissuti clandestinamente. Una richiesta che non ferma la Questura di Roma che procede con il trattenimento in quanto «l'attuale presentazione di una domanda di protezione internazionale - si legge nell'ordinanza - appare pretestuosa ed unicamente finalizzata a ritardare o impedire l'esecuzione dell'espulsione». Ed è qui che sembrerebbe scattare il nuovo cavillo burocratico sfoderato dai giudici della Corte di Appello di Roma: «Al cittadino richiedente asilo non sono applicabili le procedure di rimpatrio». Ed ancora: si tratta di «un cittadino straniero originariamente esperibile, il quale, nel corso della sua permanenza presso il cpr di Gjader-Albania, ha mutato la propria condizione giuridica, divenendo richiedente asilo». Insomma: l'uomo, con una semplice richiesta di asilo fatta nel centro rimpatri albanese, da irregolare e clandestino è diventato richiedente asilo ed è per questo che viene impedita «l'immediata esecuzione del provvedimento di espulsione del trattenuto». Questo sembrerebbe essere il nuovo escamotage: gli irregolari pronti al rimpatrio potrebbero fare richiesta immediata di protezione internazionale che muterebbe la loro condizione e li renderebbe quindi inespellibili dall'Italia, niente conta se - come l'uomo in questione - hanno vissuto per anni in modo illegale.
Ma il caso non è un'eccezione. Sempre nei giorni scorsi, il 22 aprile, la Corte di Cassazione si pronuncia per lo stop al rimpatrio di un irregolare dopo la sentenza della Corte territoriale di Torino. Il motivo? L'uomo non aveva ben compreso il documento con cui gli era stato chiesto se voleva fare richiesta di protezione internazionale, richiesta che poi è avvenuta solo al momento della presunta espulsione.
«A tutti gli stranieri condotti nei punti di crisi deve essere assicurata l'informativa completa sulla procedura di protezione - si legge sui documenti promossi anche da Questione Giustizia, il giornale di Md -. Tale obbligo sussiste anche qualora la persona straniera non abbia manifestato la volontà di chiedere protezione, posto che il silenzio non può assumere rilievo». Nel caso in questione il migrante non solo è rimasto in silenzio ma ha addirittura rifiutato la protezione internazionale.
Ma la colpa in questo caso è della Corte Territoriale che ha «errato ad attribuire rilevanza alla sola dichiarazione, resa nell'immediatezza della redazione del foglio notizie, di non volere chiedere protezione, inidonea a sanare il deficit informativo». E per questo si chiede che la Corte territoriale «colmi la lacuna motivazionale». Oltre il danno, la beffa.
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