Cronaca nera

Identità in prestito: in arresto Bonafede. "Un uomo d'onore dedicato a U Siccu"

Il geometra in carcere con l'accusa di associazione mafiosa. Il gip: "Profilo di estrema rilevanza. Da oltre due anni logista del boss, Messina Denaro usò il suo nome già per l'intervento del 2020"

Identità in prestito: in arresto Bonafede. "Un uomo d'onore dedicato a U Siccu"

Sono ore frenetiche di interrogatori, perquisizioni e riscontri incrociati, quelle che contraddistinguono l'attività del Ros, chiamato a ricostruire i contatti e gli spostamenti di Matteo Messina Denaro.

A una settimana dalla cattura del boss, gli inquirenti si muovono velocemente, perché temono che i fiancheggiatori possano coprirne le tracce, tagliando quella ragnatela su cui potrebbero rimanere intrappolati altri personaggi. Ieri sono scattate le manette ai polsi di Andrea Bonafede, il geometra di Campobello che ha prestato l'identità a «U Siccu» già a partire dal primo intervento chirurgico del 13 novembre 2020, oltre alla tessera sanitaria. Il provvedimento per Bonafede, «uomo d'onore riservato» del capomafia, è stato disposto dal gip di Palermo Alfredo Montalto su richiesta del procuratore capo Maurizio de Lucia e il 59enne è stato arrestato a casa della sorella a Tre Fontane. «Per oltre due anni ha fornito a Messina Denaro ogni strumento necessario per svolgere le proprie funzioni direttive: identità riservata, un covo sicuro, mezzi di locomozione da utilizzare per spostarsi in piena autonomia - scrive il gip - Ha, in concreto, fornito un apporto di non certo secondaria importanza per le dinamiche criminose avendo così consentito al boss, non solo di mantenere la latitanza, ma soprattutto, anche mediante la sua presenza nel territorio, di continuare ad esercitare il ruolo direttivo dell'organizzazione mafiosa». Perquisita ieri sera anche l'abitazione del cugino, Emanuele Bonafede.

Sotto la lente d'ingrandimento dei carabinieri resta Campobello di Mazara, scelto dal padrino come rifugio negli ultimi tre anni. È caccia però con il georadar ad altri bunker. Passata al setaccio anche la casa di Antonio Luppino, figlio di Giovanni, l'insospettabile ma fedelissimo che lunedì scorso ha accompagnato in auto il capomafia nella clinica palermitana dove sono stati catturati. In un'area all'aperto adibita a parcheggio di sua proprietà, era nascosta l'Alfa Romeo Giulietta nera usata da Messina Denaro per i suoi spostamenti. Attualmente il figlio dell'autista è stato ascoltato solo come «persona informata sui fatti». «Non so se io e mio fratello siamo indagati, lo scoprirò nelle prossime ore», ha detto. Sull'arresto del padrino non ha voluto parlare: «Sto qua, non mi interesso mai di nessuno». Gli investigatori hanno già sentito il titolare della concessionaria di Palermo dove il superlatitante un anno fa comprò la macchina, che aveva già fatto diversi passaggi di proprietà. Il commerciante, viste le foto del capomafia, lo ha riconosciuto e ha rivelato che è stato il padrino ad acquistare la Giulietta personalmente, pagando 10 mila euro in modo «tracciabile». Dai documenti trovati nell'ultima casa abitata da Messina Denaro, in vicolo San Vito, via Cb31, a Campobello emerge che la macchina era stata intestata alla madre 87enne di Andrea Bonafede. Altra tegola che pesa sul geometra.

Nella stessa abitazione gli investigatori hanno trovato immagini e calamite, tazze e poster del film «Il Padrino», libri su Putin e Hitler. Nei suoi covi sarebbero stati sequestrati anche abiti femminili, che farebbero pensare che il boss avesse una relazione stabile con una donna. E c'è chi si spinge a ipotizzare che avesse un figlio, perché sul frigorifero c'erano attaccati magneti di «Masha e Orso». Ma si tratta allo stato di voci, non confermate dagli inquirenti, che cercano invece di svelare l'identità dell'amante di Messina Denaro. Ci sarebbero però altri nascondigli oltre a quello di via Cb31, di via San Giovanni e del bunker nella palazzina di via Maggiore Toselli, dove l'uomo si sarebbe eclissato. Tra questi l'unità operativa del Cnr a Capo Granitola, nel Trapanese. Una fonte confidenziale «degna di fede» aveva fatto presente ai carabinieri di sapere che il latitante era lì in zona.

Ma la pista non era stata battuta abbastanza.

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