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Gli intellettuali "eretici" contro il politicamente corretto

Da Ricolfi a Rampini, da Cacciari a Flores d'Arcais: si sgretola il monolite del pensiero unico della sinistra. Ecco le firme che si stanno esponendo in prima persona contro la deriva del politicamente corretto

Gli intellettuali "eretici" contro il politicamente corretto

Per gentile concessione dell'associazione Nazione Futura pubblichiamo l'articolo di Andrea Indini uscito sull'ultimo numero della rivista.

Lo spartiacque è la morte di George Floyd. L'escalation degenera, infatti, in violenza quando, il 25 maggio dell'anno scorso, un poliziotto ammazza il 46enne afroamericano mentre lo sta arrestando. L'ondata di proteste esplosa nelle vie di Minneapolis dilaga velocemente in tutti gli Stati Uniti fino a trasformarsi in quella che ora è divenuta una delle più ottuse rivolte culturali. Un delirio iconoclasta senza senso che ha portato alla rimozione ignorante di statue e monumenti considerati, talvolta anche solo per futili motivi o per grossolane riletture, razzisti o addirittura schiavisti. Dopo il tritacarne sessuofobico del #MeToo, l'Occidente ha così iniziato a provare sulla propria pelle la brutalità e la ferocia della cancel culture, un movimento nato inizialmente su Twitter nel 2017 e propagatosi poi lentamente nelle università, nelle redazioni dei giornali, a Hollywood e nelle pagine della stragrande maggioranza dei libri mandati in stampa. Un movimento che ha come unico dio il politicamente corretto. Un dio falso, oscurantista e soprattutto illiberale.

Da anni il politicamente corretto rende il clima letteralmente irrespirabile. L'anno scorso, complice la campagna elettorale che ha visto contrapporsi il presidente uscente Donald Trump e il democratico Joe Biden, il livello di scontro si è fatto insostenibile. In sé covava già tutti i germi del #MeToo. Sbattuto in carcere Harvey Weinstein per 23 anni, con una doppia mandata in una cella nell'istituto penitenziario di Rikers Island, i progressisti si sono messi al servizio della cancel culture e dell'ideologia woke innalzando al cielo il degenerato simulacro di quella che il 31 dicembre 2020 il musicista australiano Nick Cave ha brillantemente etichettato come "la più infelice religione del mondo": l'immonda religione del politicamente corretto, appunto, che ha portato a bandire dai programmi di insegnamento testi come Il buio oltre la siepe, La lettera scarlatta e Le avventure di Tom Sawyer. E che dire di Dante condannato per aver spedito all'inferno Maometto? Sbianchettato pure lui.

In Italia, ovviamente, non siamo ancora arrivati a questi livelli di follia. Ma siamo sulla buona strada. Anche qui da noi abbiamo subito la deriva iconoclasta di certe pseudo-associazioni sinistrorse, scimmiottando gli aspetti più grotteschi delle proteste oltreoceano. È il caso, per esempio, dell'assurda crociata contro Indro Montanelli. Poi, in ordine sparso, ci siamo dovuti sorbire: l'imposizione di asterischi e "schwa" per far contente le varie Michela Murgia, gli inginocchiamenti (a fasi alternate) di Laura Boldrini e compagni a sostegno della causa BLM, la storpiatura della lingua italiana per far contente le femministe, la cancellazione di "madre e padre" dai certificati pubblici per appagare i movimenti LGBT, le marce degli ultrà dell'immigrazione a sostegno delle ong, le scampagnate delle Sardine per le cause più improponibili, gli smalti di Fedez e gli articoli liberticidi del ddl Zan, la progressiva cancellazione dei simboli della cristianità per non urtare le altre religioni (leggi: l'islam). E così via. Ci si potrebbe scrivere un libro intero. Salvo poi vederlo finire in una delle tante liste di proscrizione dei radical chic che oggi decidono cosa è degno di essere letto e cosa no. Anche perché questo movimento si sente depositario della Verità e ritiene chiunque non la pensi come loro nel torto.

Dinnanzi a questa delirante guerra, che mina la conoscenza umana, cancella il passato e impoverisce la crescita dei nostri figli, un manipolo di 150 intellettuali coraggiosi ha messo la faccia per dire pubblicamente che finirà "questa atmosfera soffocante" per danneggiare "le cause più vitali del nostro tempo". Il 7 luglio 2020 penne come Noam Chomsky, J.K. Rowling, Salman Rushdie, Margaret Atwood e Francis Fukuyama (non certo estremisti pensatori vicini a Trump) hanno pubblicato su Harper's Magazine "A letter on justice and open debate" per condannare non solo il "conformismo ideologico" al soldo del politicamente corretto ma anche "la gogna pubblica e l'ostracismo" che si sono venuti a creare nel dibattito pubblico. Anche in Italia a sinistra sembra (s)muoversi qualcosa. Non tutti sono più disposti a soccombere al politicamente corretto e così accade che firme storicamente in forza all'esercito progressista hanno iniziato a opporsi al conformismo culturale che da sempre trasforma una sparuta minoranza in maggioranza. È una prima frattura in quella intellighentia rossa che da decenni fa la voce grossa per schiacciare tutte le altre posizioni.

I nomi degli intellettuali italiani che sono usciti da questo giogo non sono molti, ma fanno sicuramente discutere e sono una crepa in un muro che fino a qualche anno fa sembrava indistruttibile. È il caso di Federico Rampini che la scorsa estate si è schierato contro il "fracasso vacuo" sugli atleti inginocchiati in onore dei Black Lives Matter. Ma poi c'è anche Luca Ricolfi che recentemente ha pubblicato con Paola Mastrocola il Manifesto del libero pensiero (La nave di Teseo), un libro che mette in guardia dalla degenerazione del politicamente corretto (la cancel culture, appunto) e dal "razzismo al contrario che colpevolizza il maschio bianco eterosessuale in quanto tale, ossia a prescindere dai suoi comportamenti". E ancora, Paolo Flores d'Arcais che su Micromega sin dall'inizio ha scritto contro il politicamente corretto e in più di un'occasione ha rinfacciato alla sinistra di essere diventata "la paladina della censura". Già nel 2019, parlando del dibattito politico che degenera in turpiloquio, Massimo Cacciari lamentava che "quando si fa strame di un linguaggio si fa strame di un pensiero" (video). Per il filosofo, complice l'emergenza Covid e gli accesi dibattiti che ne sono scaturiti, si è addirittura arrivati al punto in cui "regna un pensiero unico che non ammette neanche l'esercizio del dubbio". Tanto che ora si è ripromesso addirittura di fondare un "gruppo di controinformazione".

A sinistra, per Ricolfi, sono in molti a rendersi conto che la libertà di parola è minacciata ma, come ha spiegato in una intervista a ilGiornale, il problema è che, salvo rari casi (e fa il nome di Piero Sansonetti), la maggior parte "non ha il coraggio di uscire allo scoperto, per paura del fuoco amico dell'establishment" progressista. Non deve quindi stupirci se, quando è approdato a Repubblica, è finito sotto il fuoco incrociato di soloni del calibro di Gard Lerner, Christian Raimo e Michela Murgia. Ed è di quest'ultima il tweet che, più di tutti, la dice lunga sul livello culturale (infimo) della sinistra nostrana: "Leggo Ricolfi su Repubblica e non posso fare a meno di pensare che il clitoride ha 8.000 terminazioni nervose, ma ancora non è sensibile quanto un editorialista italiano maschio bianco eterosessuale quando sente minacciato il suo privilegio".

Finché la sinistra sarà rappresentata da questo odio livoroso non potrà mai fare un passo avanti. E così, dopo il #MeToo, dopo la cancel culture, dopo i woke, spunterà sempre fuori un altro movimento sempre più radical chic, sempre più politicamente corretto, sempre più elitario che epurerà chiunque la pensi diversamente. Per questo la demonizzazione del populismo ha presupposti profondamente sbagliati. "Il populismo è una cosa seria - ha spiegato Mario Tronti, storico fondatore del movimento operaio, in una intervista al Riformista - ha dentro la radice 'popolo'. Alzare il sopracciglio elitario per combatterlo è la cosa politicamente più sbagliata che si possa fare.

Ne vanno capite le profonde ragioni sociali, luogo per luogo, tempo per tempo".

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