
"Arrivano con le roulotte. Non sono mai stanziali. Vanno in giro, compiono furti e rompono i vetri delle auto. Ce ne sono tanti ma è difficile conoscere la loro provenienza".
È il racconto fatto ieri all'AdnKronos da Don Paolo Steffano, responsabile della cura pastorale di quattro parrocchie, tutte del quartiere milanese del Gratosoglio dove lunedì la 71enne Cecilia De Astis è stata travolta e uccisa da quattro minori rom bosniaci alla guida di un'auto rubata.
"Fino a ieri si sono sempre macchiati di furti e danni di piccolo cabotaggio" prosegue il parroco E aggiunge: "C'è da dire che questi ragazzini guidano già tutti a 12-13 anni. Lo sanno fare tutti. Tempo fa chiesi di spostare un Mercedes da un passo carraio. È venuto fuori un ragazzino a torso nudo, sarà stato al massimo un tredicenne, e l'ha spostata lui".
Don Paolo racconta anche come l'incidente, in cui è rimasta uccisa la De Astis, sia avvenuto nella zona dove c'è la casa-mensa gestita Fratelli di San Francesco: "Un quartiere dormitorio. Lì c'è un via vai di circa trecento persone che entrano ed escono, dormono e si lavano in strada. È una curva molto trafficata, la si percorre per andare in tintoria, in farmacia e al supermercato".
L'accampamento rom di via Selvanesco in cui vivono i 4 ragazzini responsabili dell'investimento mortale ospita alcune famiglie non stanziali, che si fermano prevalentemente per la notte. A Milano sono rimasti tre campi rom regolari: quello di via Negrotto (a Nord Ovest), quello di via Impastato (a Sud Est) e quello di Chiesa Rossa, poco distante dalla zona in cui è avvenuto l'incidente. Qui vivono circa 250 persone, che però dovranno lasciare l'area tra un mese e mezzo: a gennaio il Comune di Milano ha infatti avviato il procedimento per chiudere il campo rom di Chiesa Rossa e la settimana scorsa gli abitanti hanno ricevuto l'ordinanza che intima loro di andarsene entro il 30 settembre. Altre 150 famiglie sono quelle accampate che riesce a intercettare la Caritas.
"A Milano diciamo da anni che i campi rom vanno chiusi, non tanto perché chissà cosa succede, ma perché sono il frutto di una politica errata degli anni '80 e '90 che ha portato alla ghettizzazione" ha detto ieri all'Ansa Anna Cavallari, operatrice dell'unita mobile della Caritas Ambrosiana che si occupa dei rom che vivono al di fuori dei campi regolari gestiti dal Comune, come quelli che vivono da qualche mese in via Selvanesco. Roulotte sistemate in un campo, senza corrente, senz'acqua e in una situazione di degrado. Un numero di persone non alto che provengono da un gruppo familiare di origine bosniaca arrivato negli anni '80 senza documenti, che alcuni di loro ancora non hanno, uno stato, di fatto, di apolidi che rende ancora più difficile intercettarli.
"Parlare di rom è un discorso articolato. Chiudiamo i campi è uno slogan vecchio di vent'anni per creare consenso, ma il Comune sta già facendo una politica di dismissione e noi siamo pienamente d'accordo" ha aggiunto Cavallari. E conclude: "Quello che serve sono percorsi di accompagnamento, vanno chiamate le istituzioni a esercitare il proprio ruolo. C'è un 90% di persone rom che vivono una vita normalissima, hanno case di proprietà, o in affitto o alloggi popolari. Solo che nelle notizie esce esclusivamente il negativo".
Intanto ieri mattina ai giornalisti e reporter che con le troupe televisive si sono recati
in via Selvanesco per documentare l'insediamento in cui risiedono i quattro pirati della strada minorenni, sono stati accolti con insulti, minacce e persino lanci di pietre e al grido di "Vai via o ti spacco la faccia!".