«Svolta autoritaria», «non ci limiteremo alla protesta», «non finisce qui», «rivolteremo il Paese come guanto», «il governo non rappresenta la maggioranza del Paese». Maurizio Landini sfodera il linguaggio degli anni 70 per aizzare la piazza contro l'esecutivo Meloni nel giorno dello sciopero generale. Di lavoro, salari e fabbriche c'è poco nel discorso del segretario Cgil. In piazza Maggiore, a Bologna, il sindacalista diventa ufficialmente un capo-popolo, chiamando i lavoratori all'insurrezione contro il centrodestra. Parole che alzano il livello dello scontro, fino a considerare il governo in carica, frutto di un voto democratico, «illegittimo». I ministri (Salvini) diventano «bersaglio» da dare in pasto alla folla. La Cgil compie un passo in avanti nella campagna di demonizzazione del governo. Landini paragona l'esecutivo Meloni al nazismo e fascismo: «I regimi autoritari come primo atto hanno sempre messo in discussione il diritto di sciopero e hanno sempre chiuso e assaltato le sedi sindacali» dice l'ex numero uno Fiom. E così in piazza spuntano i gilet gialli (che in Francia misero a ferro e fuoco Parigi) con i cartelli che invitano alla «rivolta sociale». Obiettivo che Landini, dal palco, non nasconde. Anzi rilancia con toni ancor più duri: «È ora di rivoltare il Paese come un guanto. Le ingiustizie hanno raggiunto un livello non più sopportabile» attacca il segretario della Cgil. I suoi messaggi sono un susseguirsi di inviti a incendiare le piazze. Non solo quelle di ieri: «Per quello che ci riguarda questo significa non limitarci alla protesta oggi». La narrazione non cambia di un millimetro. Poco spazio per le battaglie sindacali. Il punto è contestare la legittimità democratica del governo, invitando alla «rivolta sociale». «Siamo di fronte al tentativo serio di una svolta autoritaria che mette in discussione la libertà di esistere e la libertà delle persone» - denuncia il capo del sindacato rosso. Che aggiunge: «Possiamo dire, dopo la giornata di oggi, che questo governo non rappresenta la maggioranza di questo Paese. E lo vogliamo dire al governo e alle imprese: abbiano l'umiltà di saper ascoltare le persone e il Paese. Grazie a voi e alla lotta che tutti insieme proseguiremo non abbiamo intenzione di fermarci, né con lo sciopero né con il referendum». La piazza a Bologna si scalda, a Torino finisce in scontri con la polizia, ecco che Landini mette in guardia: «Vediamo cosa succede dopo la giornata di mobilitazione di oggi, ma per quel che ci riguarda non finisce qui«. Il bersaglio privilegiato è il vicepremier Matteo Salvini: «È arrivato a pensare che per essere bello e bullo doveva fare la precettazione per poter dire di esistere, non aveva detto che se andavano al governo loro la legge Fornero la cancellavano? Sono riusciti a peggiorarla». È chiaro come lo sciopero di ieri segni il passaggio decisivo verso una battaglia che non è più soltanto sindacale. Ma qualcosa di più squisitamente politico e sociale.
La sponda al capo della Cgil arriva da Roma dove in piazza Esquilino c'è la segretaria del Pd Elly Schlein, che sulle note di Bella Ciao (che novità) insegue la propaganda landiniana: «Mentre Giorgia Meloni è chiusa nel palazzo e non parla più con le persone, mentre il suo governo taglia su tutto e attacca il diritto allo sciopero previsto dalla Costituzione, noi siamo qui. Siamo tra le lavoratrici e i lavoratori che oggi scioperano e manifestano contro la manovra ingiusta del governo che taglia scuola e sanità pubblica». Copione rispettato.
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