
La principale ragione per cui Valery Gergiev deve potersi esibire alla Reggia Di Caserta (27 luglio) è che l'artista Gergiev è più importante del politico Gergiev, in altre parole: l'arte deve poter sopravvivere all'uzzolo politico-storico del momento, questo compreso. Gergiev passerà alla storia per la sua Sesta di Ciaikovskij e per il suo Boris Godunov, non per essere un indubbio leccapiedi di Putin con facoltà di epuratore del mondo musicale russo, ciò che indubbiamente è. La seconda ragione è che il disinvito di ospiti che in precedenza erano già stati invitati ("deplatforming") è un'usanza illiberale che è propria dell'ubriacatura woke del mondo anglosassone: meglio lasciarla al Met di New York, che infatti non fa cantare neppure Anna Netrebko, soprano che non piace a tutti (non a chi scrive, per esempio) e che è una cocca di Putin, una creatura di Gergiev, ma, anche, una beniamina del pubblico della Scala che si è scorticato le mani nell'applaudirla anche in questi anni di guerra, pur contestata dall'ambasciatore ucraino assieme alla fantastica letteratura russa che un branco di imbecilli ha tentato di tirarle dietro. Poi la dinamica democratica (noi ce l'abbiamo, Putin no) prevede che i contestatori di Gergiev possano protestare, e prevede che chi l'ha invitato possa essere giudicato per averlo fatto.
Non c'è molto altro da dire, salvo precisare che sappiamo bene chi sia Gergiev (per alcuni un ambasciatore di Putin, per me un ambasciatore di Ciaikovskij) e ricordare come sarebbe andata se la stessa metrica fosse stata applicata in passato ad altri casi. Winifred Wagner, moglie dell'unico figlio di Richard, fu intima di Hitler e gli fornì persino la carta su cui fu scritto il Mein Kampf, oltre ad averlo ospitato da giovane appena uscito di galera: ma la Germania di Norimberga non impedì che Winifried edificasse faticosamente il Festival wagneriano di Bayreuth (invitò anche Arturo Toscanini) facendo conoscere al mondo la bacchetta immortale di Wilhelm Furtwängler, altro simpatizzante nazista come pure è stato più moderatamente Herbert von Karajan: ma neppure il suo storico avversario Leonard Bernstein, ebreo, contestò mai Karajan per questo.
Detto ciò, se in retrospettiva avessimo contestato tutti gli artisti che hanno detto delle sciocchezze inaccettabili (per esempio sulla Cina, su Cuba e sull'Unione sovietica dei milioni di morti) faremmo un mezzo deserto del tardo Novecento musicale italiano.
Claudio Abbado, Maurizio Pollini, Luciano Berio, Luigi Nono, Goffredo Petrassi, lista parzialissima: gli artisti andrebbero messi in una galera dello spirito, lontani da ogni corruzione dell'universo mondo e dalla tentazione di occuparsene nel più terrificante dei modi: parlando, contaminandosi, intruppandosi con la politica e con dei sovrappiù che non andrebbero esibiti da chi detenga la grazia e la virtù del talento.