Nino Materi
Nella giurisprudenza, ma anche nella sensibilità sociale dell'opinione pubblica, c'è una data-chiave che sancisce un cambio di rotta rispetto alle storie processuali e umane di chi ha ucciso un malvivente reagendo a un furto o una rapina. Questa data è il 13 novembre 2015: giorno in cui il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, concesse la grazia ad Antonio Monella, che era in carcere a seguito di una condanna definitiva a sei anni per omicidio volontario. L'uomo era finito dietro le sbarre dopo aver ucciso un topo d'auto che gli stava rubando la macchina sotto casa. Monella, 60 anni, di Arzago d'Adda (Bergamo) era stato ritenuto colpevole in tutti e tre i gradi di giudizio, ma i suoi processi avevano dato il via a un dibatto sull'esigenza di ampliare i limiti della legittima difesa. Oggi come allora, due i fronti contrapposti: quello che ritiene giusto difendersi autonomamente con le armi, e quello contrario ai giustizieri fa-da-te. Il partito dei «pistoleri» sostiene che, in caso di necessità, è legittimo sparare per difendere sé, la propria famiglia e i propri beni; il partito «garantista» replica che mettere mano alle armi non è compito dei cittadini, ma solo delle forze dell'ordine. Un braccio di ferro che prosegue tutt'ora, pur registrando una lieve oscillazione a favore di chi non se la sente di aspettare, a braccia conserte, l'arrivo di polizia e carabinieri, magari quando ormai i banditi sono già belli e scappati. Ma ora anche nelle aule di giustizia sembra che il vento stia cambiando, con collegi giudicanti propensi a valutare con maggiore «tolleranza» le reazioni violente di chi, nella propria casa, si è trovato faccia a faccia con criminali decisi a tutto per portare via il bottino.
Proscioglimenti e archiviazioni sono così diventati i nuovi indirizzi giurisprudenziali per dipanare la matassa degli ultimi casi dei «giustizieri» finiti in prima pagina.
L'era «post-Monella» è proseguita fino a oggi: di due giorni fa, ad esempio, l'assoluzione in appello di Franco Birolo, il tabaccaio di Padova che nella notte del 26 aprile 2012 uccise un ladro moldavo che si era introdotto nel suo locale. Birolo in primo grado era stato condannato a a 2 anni e 8 mesi di reclusione e al risarcire con 325 mila euro la famiglia del bandito ammazzato. Archiviazione disposta pure nei confronti del benzinaio vicentino Pietro Stacchio che il 3 febbraio 2015 freddò a fucilate uno dei malviventi che avevano assaltato l'oreficeria vicina alla sua pompa di benzina. Stesso iter giudiziario per Rodolfo Corazzo, l'orefice milanese che il 24 novembre 2015 uccise un rapinatore che faceva parte di una gang di albanesi che avevano preso d'assalto la sua villetta a Rodano, minacciando di uccidere la moglie e la figlia di 10 anni. «Fu legittima difesa», la sentenza del giudice. Scarcerato dal gip anche il 64enne Bruno Poeti, ex poliziotto accusato di tentato omicidio per aver fatto fuoco, lo scorso febbraio, contro un rumeno che si era introdotto nel suo podere. Chiesta l'archiviazione anche per Francesco Sicignano il pensionato 66enne di Vaprio D'Adda che nel 2015 uccise un ladro albanese, entrato a casa sua per derubarlo.
L'ultimo caso è quello che riguarda il ristoratore di Lodi, Mario Cattaneo, ora nella
bufera per aver ucciso un ladro rumeno: «Il colpo di fucile è partito durante la colluttazione, non volevo ammazzarlo. Avevo paura che facesse del male ai miei nipotini», la sua versione. Il giudice crederà anche a lui?- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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