Politica estera

L'Europa vara il piano green. Ma c'è lo zampino dei falchi

Bruxelles invita gli Stati a fare da soli, slitta la scelta sui fondi comuni. Ma per l'Italia il RepowerUe è finito

L'Europa vara il piano green. Ma c'è lo zampino dei falchi

Lo chiamano piano industriale, a Bruxelles. Ma ha tutta l'aria di essere un piano kamikaze. Non è solo una bozza, come recita il comunicato della Commissione europea. Quella inviata ieri agli Stati membri, definita «proposta», è una linea. E stavolta in ballo ci sono gli aiuti di Stato: come spenderli, dove indirizzarli, e soprattutto quali settori finanziare più agevolmente. Si apprende che saranno le singole nazioni a poter / dover pagare la transizione verde: con il portafoglio nazionale. Non solo: per i fondi comuni Ue, quelli ipotizzati per sostenere l'industria europea ed evitare così che le aziende del Vecchio continente migrino capitali, idee e progetti negli Stati Uniti, attirate dalle sirene dell'Inflation reduction act di Biden, tutto è stato scansato più in là, rimandando la discussione a un generico «dopo l'estate».

Una marcia indietro di von der Leyen. Per ora, niente fondo Ue finanziato da comune debito: «È necessario - ammette la presidente della Commissione Ue - riesamineremo il bilancio pluriennale, ma con gli Stati membri dovremo valutare altre possibilità». Quali? «Incoraggeremo i 27 a usare i fondi del RepowerUe per concedere sgravi fiscali alle industrie a zero emissioni». Si potranno intanto velocizzare i procedimenti per le autorizzazioni a nuovi progetti green. Ma la transizione verde sarà a carico degli Stati, almeno in prima battuta. E inevitabilmente appannaggio di chi ha soldi da spendere: Nord Europa in primis.

Il nuovo Green Deal Industrial Plan presentato ieri, in vista del Consiglio europeo del 9 febbraio, indica la via di Berlino per centrare gli obiettivi delle emissioni «zero» e contrastare la via americana. E se Parigi insiste sull'istituzione di un nuovo fondo Ue per sovvenzionare l'industria verde made in Europe, la Germania non lo considera.

Bruxelles dice quindi ai «27» di far da sé, mettendo mano ai bilanci nazionali come fatto da Olaf Scholz con le aziende tedesche, scompaginando il lavorio fra cancellerie che puntavano a una soluzione comunitaria. Berlino può permettersi di attingere alle proprie tasche. Ma non per tutti è così.

Ecco allora la formula della Commissione: «Evitare la frammentazione del mercato unico e garantire la parità di condizioni». Detto, fatto? Neanche per idea. È già partita la gara fra Stati. Il RepowerUe vale quasi 280 miliardi, e l'Italia a conti fatti ha già chiesto quasi tutto quel che poteva chiedere. Quindi se da lì si potrà attingere in futuro, saranno soprattutto Francia e Germania a poter spendere parte di quei miliardi. E quella che poteva/doveva essere una risposta all'Ira americano, rischia di penalizzare anzitutto il Belpaese, che ha margini di bilancio minimi.

Il piano Ue privilegia incentivi di Stato per il comparto dell'energia alternativa; sussidi senza gara d'appalto per tecnologie ancora agli albori, come l'idrogeno rinnovabile, con salvaguardie per garantire la proporzionalità del sostegno pubblico. In sostanza, se non hai soldi, non puoi star lì a concedere troppo.

Si punta poi a investimenti per ridurre le emissioni includendo massimali di aiuto più elevati e calcoli semplificati. E sostegni statali per produrre batterie al litio, pannelli solari, turbine eoliche, pompe di calore per sganciarsi dalla dipendenza cinese. Un programma sensato per gli Stati del nord, difficilmente attuabile dalla sponda sud. «Daremo forma alle proposte entro metà marzo», ha spiegato von der Leyen.

In dirittura dìarrivo è invece il piano per tagliare gli ingressi irregolari dai Balcani. Ma niente soldi per il «muro» tra Bulgaria e Turchia. L'Ue può fornire «droni, radar e altri mezzi di sorveglianza».

E sulle partenze illegali dal Mediterraneo, il Ppe grida vittoria: su proposta italiana, al Consiglio europeo si discuteranno «corridoi umanitari Ue finanziati dalla Commissione». Stretta sulle Ong e hot spot in Africa.

Vecchia idea di Meloni & Co.

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