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Via libera al "dress code" per Montecitorio. Cravatte e sneakers ora spaccano l'Aula

Passa l'odg di Fdi in versione soft. Ecco come l'estetica ha cambiato la politica

Via libera al "dress code" per Montecitorio. Cravatte e sneakers ora spaccano l'Aula

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L'abito, di per sé, non fa il politico. Non basta indossare giacche impeccabili per essere veri conservatori, così come non è sufficiente vestire scasciati per essere ribelli. O anche il contrario: Elly Schlein - per dire - veste come una centrosocialara griffata, anche se non è mai entrata in un centro sociale in vita sua. Quindi?

E quindi la domanda «In Parlamento è meglio che siedano politici che possiedono carisma e buone idee o che rispettino anche nell'abito la sacralità del luogo?» è una domanda sbagliata. Ma la risposta «Nei Palazzi della Repubblica è giusto un guardaroba decoroso» è quella giusta.

Così, ieri, a Montecitorio, è stato votato un ordine del giorno presentato da Fratelli d'Italia per introdurre un rigoroso dress code alla Camera. Il testo alla fine è passato ma in versione soft, rimandando tutto alla decisione dell'Ufficio di presidenza. Come sa ogni parlamentare, è più facile far passare una manovra economica che cambiare il regolamento della Camera. In sostanza, per ora, contro le intenzioni dei promotori del nuovo «Codice di abbigliamento», si può continuare a entrare in Aula con le scarpe da ginnastica e senza cravatta (resta però l'obbligo della giacca) anche se deputati, dipendenti e tutti i frequentatori delle sedi della Camera, giornalisti e giornaliste incluse, devono vestirsi in maniera consona «alle esigenze di rispetto della dignità e del decoro dell'Istituzione».

La politica ha un suo codice etico. E anche un suo codice estetico. In certi luoghi serve - sempre - un Onorevole contegno.

Prima, un dubbio: perché gli obblighi (giacca) e divieti (sneakers) si riferiscono solo agli uomini mentre le donne possono passeggiare in Transatlantico in ciabatte Havaianas o in Birkenstock? Discriminazione a sessi inversi. Urge un dibattito parlamentare.

Poi, un po' di storia: le celebri cravatte alla texana, con laccio e pendenti, del leghista Francesco Speroni (era addirittura un senatore e ministro delle Riforme del primo governo Berlsuconi) che Gianfranco Fini non aveva voluto alla guida di Palazzo Madama proprio per i suoi cravattini impresentabili e le giacche color fucsia.

I mocassini senza calze di Roberto Calderoli e di Danilo Toninelli. Il look total black di Nichi Vendola, anche d'estate, in pieno giorno. L'onnipresente jeans sdrucito di Roberto Fico. Certi tacchi troppo audaci di Maria Elena Boschi. Le scarpe da trekking della Vezzali. La famosa mise «da giuramento» della ministra Teresa Bellanova. Gli stivali infangati di Aboubakar Soumahoro al suo debutto... E poi orrende ballerine maculate, regimental inabbinabili, gonnelloni alla «figli dei fiori» di una nota deputata dem... Una volta c'era persino l'account Twitter «IldiavolovesteCamera». Purtroppo è in somno.

Ma poi: si può imporre il «decoro» per legge?

Di certo si può esprimere una posizione politica infrangendolo. Nel giugno 2017, alla prima riunione dell'Assemblea Nazionale francese eletta pochi giorni prima, i deputati della formazione «France Insoumise» di Jean-Luc Mélenchon entrarono in Parlamento senza la cravatta richiesta dal codice di condotta. Un gesto senza precedenti ispirato a quello dei sans-culotte - i «senza culottes» - della fine del '700.

Ma lì, infatti, era scoppiata una Rivoluzione.

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