L'Italia chiede più tempo per realizzare il Pnrr. Ma così si rischia il flop

Il governo vuole allungare le scadenze e rivedere il Piano, nella diffidenza della Ue

L'Italia chiede più tempo per realizzare il Pnrr. Ma così si rischia il flop

Ti chiedi su cosa un giorno verrà valutato questo governo. Il sospetto è che il piano di ripresa e resilienza, al di là del nome da romanzo distopico, non sarà affatto marginale. È da lì, da quella sorta di piano Marshall europeo per superare la crisi economica e sociale della pandemia, che dovrebbero arrivare le risorse per tonare a sperare in un futuro. Almeno questo è quello che si diceva fino a qualche tempo fa. Non ci sono motivi adesso per dire il contrario. Il Pnrr non ammette alibi. Non ci sono santi o ragioni per sprecare un'opportunità senza precedenti. È vero che l'Europa non ti regala nulla. La guerra è pioggia acida su una ferita fresca. L'inflazione rende ogni progetto più costoso, con un aumento delle materie prime del 35 per cento. La burocrazia italiana è spesso un buco nero che strozza tutto e gli amministratori hanno così paura dell'abuso di ufficio da finire spesso nella bolgia degli ignavi. Tutti questi aspetti rendono l'impresa difficile. Il discorso però non cambia, perché fallire è una sciagura, per tutti. È inutile mettere le mani avanti. Il governo ha stanziato fondi nella manovra finanziaria per fronteggiare l'aumento eccezionale di prezzi. È un passo concreto.

L'aria che però si respira in questi giorni nella maggioranza, e tra i ministri, è al confine delle scuse. Bruxelles, Berlino o semplicemente qualsiasi governo diffidente verso Roma faticheranno a capire i nostri discorsi. Non ci si può aspettare nulla di diverso. Raffaele Fitto, ministro per gli Affari europei, dice a Repubblica che «il Pnrr non può essere un dogma». La tesi è che le condizioni sono cambiate, la guerra ha peggiorato tutto, i tempi sono diventati più stretti e il governo precedente ha scontato ritardi (noi lo abbiamo scritto). «La spesa prevista al 31 dicembre credo non arrivi neanche ai 22 miliardi, stiamo osservando i dati precisi e temo proprio che i soldi non siano quelli: quindi c'è una criticità che va posta». I progetti andrebbero riformulati e questo è appunto un tema da discutere con l'Europa. Tocca chiedere comprensione, però in una situazione che non è comoda e ci vede in difetto. È una richiesta di fiducia verso chi di fatto teme di non riuscire a finire nel modo migliore il proprio lavoro. È, insomma, la condizione di chi non ha fatto i compiti. È fragile. E costa in dignità e autorevolezza.

La realtà è che il Pnrr aveva fin dall'inizio delle difficoltà nascoste. Lo sapeva bene anche Mario Draghi, solo che il suo compito è stato un po' più facile. I primi anni il lavoro da fare era sulle riforme, legislativo, fatto più di norme che di opere concrete. È un Pnrr fondamentale, ma in gran parte di carta. I miliardi sono arrivati e Draghi può dire di aver fatto il suo dovere. Il 2023 è l'anno in cui bisogna far diventare i progetti realtà. Qui non si può giocare con le illusioni. Bisogna dare al Next Generation quel senso di futuro per cui è stato immaginato. Mai come in questo caso futuro significa sostanza. È la sfida che tocca a uno dei ministeri centrali del piano, quello dell'Ambiente. Il ministro Gilberto Pichetto Fratin sostiene che verranno rispettate tutte le scadenze, ma ha stimato che solo per il suo settore i costi dei progetti aumenteranno di circa 5 miliardi. Il rischio è che vinca la paura. Salvini dice: «Rendicontare tutte le opere entro il 2026 è un puro esercizio di fantasia». Così come è non si può fare. Serve una proroga. Il vicepremier e leader della Lega, sottotraccia, fa capire che a livello capillare l'Italia ha sempre enormi difficoltà a tramutare i finanziamenti in fatti.

«Abbiamo 20 miliardi di euro di budget per fondi europei per le annualità 2014-2020, di questi 20 miliardi il ministero ne ha pagati 2. Spesso i fondi ci sono, ma mancano i progetti e la messa a terra». Nessuno ha mai detto che fosse facile.

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