Maledetto lunedì. Non tutti si sono accorti che la festa è finita. C'è chi rimpiange la sbornia, chi fatica a svegliarsi, chi se la prende comoda, chi sbaglia secolo e chi sogna Andreotti e chi per non farsi mancare nulla si dà malato. Il lunedì rischia di diventare una metafora. Perché ci sono due modi per affrontarlo. O prendi atto che la domenica è finita e bisogna rimettersi al lavoro e affrontare un'altra settimana, oppure chiudi gli occhi e torni a dormire, convinto che il lunedì sia solo un brutto sogno. Ecco, c'è più di qualcuno che qui in Italia non vuole davvero fare i conti con il lunedì.
Sono quelli, per esempio, che il lunedì non vanno al lavoro. Telefonano, con la voce ipocondriaca, e dicono che proprio non ce la fanno. Malati. E con un certificato medico già pronto nel cassetto. Quanti saranno? Secondo i dati di quei rompiscatole della Cgia di Mestre, associazione di artigiani, è un lavoratore dipendente su tre. Uno su tre proprio di lunedì si ammala. O il lunedì porta sfiga o qualcuno ci marcia. Sembra che la sindrome del primo giorno della settimana colpisca soprattutto chi vive al Sud. Il record spetta alla Calabria. È solo un esempio, ma forse fa capire che la crisi italiana è anche una questione di senso di responsabilità. Non c'è consapevolezza. Non c'è responsabilità.
Qualcuno non sa, o finge di non sapere, che la maggior parte dei lavoratori non può permettersi di stare a casa il lunedì con la scusa della febbre. Non può perché se sta male perde un giorno di lavoro, perché ha un contratto debole, perché purtroppo campa alla giornata, perché è imprenditore di se stesso. E qui si torna alle due «repubbliche del lavoro». A chi può fare il furbo perché è garantito e a chi nello stesso posto di lavoro guadagna meno e rischia di più.
Tutta la questione dell'articolo 18 alla fine gira intorno a questa asimmetria. È il motivo per cui questo Paese prima o poi deve fare i conti con la riforma del lavoro. L'Italia del posto fisso è un ricordo, un'illusione. Eppure il nostro mondo, le nostre leggi, sono ancora tarate su quel passato.
Il risultato sono la miriade di frammenti di contratto di lavoro precari. È un welfare che non protegge i più deboli, perché non li vede, perché sono pesci mutanti rispetto al nostro stato sociale. È questa voglia di padrini e capatàz che ancora si respira nell'Italia dei nostalgici. Conosci qualcuno che mi può dare un lavoro? Non è che hai un assessore regionale per quel concorso? E soprattutto uno che ti fa lavorare quattro giorni su sette. Buona parte degli italiani non ragiona più così, ma c'è chi non si rassegna. E sono ancora tanti. Incoscienti o irresponsabili. E c'è chi in politica continua a raccontare un'Italia che non sa e non vuole cambiare.
A Roma, ieri, piazza Santi Apostoli, lì dove Prodi festeggiò la vittoria del '96, Vendola, Landini e Civati hanno alzato la bandiera dei conservatori. Quelli del «nulla deve cambiare». Quelli del non si tocca. Quelli della domenica.Quelli che continuano a chiedersi: «È qui la festa?». Ma domani è lunedì.
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