Usa e Israele sono sempre più distanti. Dopo il gelo delle settimane scorse, quando fonti americane hanno riferito la frustrazione del presidente Joe Biden, che stava «perdendo la pazienza» con Benjamin Netanyahu per il rifiuto opposto alla maggior parte delle richieste avanzate su Gaza, ora è il segretario di stato Antony Blinken ad aver messo in guardia il premier e il suo governo da azioni e discorsi che «infiammano le tensioni».
Blinken si è recato nuovamente in Medio Oriente per cercare di far avanzare i negoziati su tregua e liberazione degli ostaggi e nonostante le dure dichiarazioni di Netanyahu, che ha respinto l'accordo accettato da Hamas, ritiene ci sia ancora «spazio per un'intesa sugli ostaggi».
Ma allo stesso tempo, il capo della diplomazia Usa nella discussione con il primo ministro ha «espresso le nostre profonde preoccupazioni riguardo alle azioni e alla retorica, anche da parte di funzionari governativi, che infiammano le tensioni, minano il sostegno internazionale e pongono maggiori restrizioni alla sicurezza di Israele». E ha invitato l'alleato a prendere in considerazione «innanzitutto» i civili in caso di un'operazione a Rafah, nel sud della Striscia di Gaza, operazione sulla quale ha espresso i suoi timori.
Quindi, ha chiarito che gli attacchi di Hamas non danno allo Stato ebraico «la licenza per disumanizzare gli altri». «Gli israeliani sono stati disumanizzati nel modo più orribile il 7 ottobre scorso - ha detto Blinken - Da allora gli ostaggi sono stati disumanizzati ogni giorno, ma questa non può essere una licenza per disumanizzare gli altri».
Ad esprimere un pensiero lapidario contro il premier israeliano è stata poi l'ex segretaria di Stato americana Hillary Clinton. «Netanyahu dovrebbe andarsene, non è un leader affidabile. È stato sotto il suo controllo che è avvenuta l'aggressione, e se lui è un ostacolo a un cessate il fuoco deve assolutamente andarsene», ha sottolineato con Msnbc. Inoltre, a una domanda sul rapporto del comandante in capo con il premier, l'ex candidata presidenziale democratica ed ex first lady Usa si è detta convinta che «Biden abbia fatto tutto ciò che poteva: rispondere alle legittime preoccupazioni del popolo israeliano dopo il 7 ottobre, allearsi con Israele di fronte ad un attacco da parte di un'organizzazione terroristica». Ma «penso che stia anche facendo tutto il possibile per influenzare Netanyahu», ha aggiunto. Secondo gli analisti, l'intensa attività diplomatica di Washington, oltre alla necessità di risolvere la crisi attuale, fa parte della strategia di Biden di non estromettere Bibi, ma di presentargli una scelta, che l'intero pubblico israeliano può vedere: rifiutare qualsiasi collaborazione con i palestinesi per porre fine al conflitto a Gaza e passare alla storia come il leader al potere durante gli attacchi del 7 ottobre, oppure lavorare con gli Usa, l'Europa, l'Arabia Saudita e altri stati arabi ed essere il primo ministro che ha creato uno stato palestinese in grado di garantire la sicurezza dello Stato ebraico e aprire la strada alla pace con Riad e il mondo musulmano in generale.
Peraltro, nella gestione dei rapporti con l'alleato, l'attuale inquilino della Casa Bianca deve fare i conti con le elezioni del prossimo novembre e l'effetto a catena della guerra tra Israele e Hamas, ossia il rapido deterioramento delle relazioni con alcuni dei suoi elettori più fedeli, musulmani e arabi americani.
E riguardo Netanyahu, in diversi negli Usa si stanno chiedendo se non stia tenendo duro aspettando l'eventuale ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca in caso vinca le elezioni (pur se il tycoon nei mesi scorsi lo ha criticato e definito «impreparato»).
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