
Donald Trump combatte una battaglia ideologica contro il woke nei grandi atenei statunitensi. Una richiesta (forse) legittima ma imposta, se ci riuscirà, con armi improprie, come la minaccia di non foraggiare gli istituti o la minaccia di escludere gli stranieri, a suo dire provenienti da paesi nemici degli Usa e istruiti gratuitamente. Si direbbe un ricatto, e non è bello, ma non è il caso di fermarsi alle questioni «estetiche», sia pure importanti in politica. Trump non inventa nulla. Furono gli stessi professori a denunciare il declino delle università americane. Un esempio. Nel 1987, il filosofo Allan Bloom, docente a Chicago, pubblicò un libro, La chiusura della mente americana. Secondo l'autore, gli atenei erano davanti a un bivio. Tornare ai classici del pensiero occidentale oppure votarsi all'autodistruzione, sposando la dialettica post marxista e il relativismo culturale. Fu massacrato. Saul Bellow, Premio Nobel per la letteratura, scrisse che «tutti gli asini d'America si sono coalizzati contro Bloom». Il saggio, continuava Bellow, «fece infuriare i rappresentanti del mondo accademico. Vi erano elencati i difetti del sistema in cui loro si erano formati, la superficialità del loro storicismo, la loro debolezza per il nichilismo europeo».
Nel maggio dell'anno scorso, dalle università americane arrivavano immagini preoccupanti. I movimenti studenteschi, si scopriva, erano passati dal femminismo alla solidarietà con l'integralismo islamico, dalla democrazia a Hamas, dalla condanna del fascismo all'antisemitismo, dal politicamente corretto alla intolleranza. Un tragitto seguito anche in Italia. L'evento chiave fu l'invito a Papa Ratzinger. Il teologo e filosofo avrebbe dovuto inaugurare l'anno accademico 2008 alla Sapienza. Docenti e studenti gridarono alla all'invadenza clericale, all'affronto alla separazione tra Stato e Chiesa. La Santa Sede fu costretta a ritirare l'adesione.
Di fronte a questo, il mondo universitario non riesce a pronunciare una parola di autocritica. Come è stata usata la sacrosanta libertà? Siamo sicuri che le università siano le principali depositarie della ricerca pura? La ricerca è uscita dai dipartimenti ed è stata accolta dalle aziende big tech che si occupano di farmaci, big data, sicurezza digitale, aeronautica spaziale e così via. Colossi come Palantir vanno nei college ad arruolare i migliori allievi: offrono studi gratis e un posto di lavoro sicuro, inutile perdere anni con una laurea poco pregiata sul mercato. Ovviamente, a questo tipo di mecenate le tematiche woke interessano poco. Basta che la convivenza sia civile, e stop.
Per venire all'Italia, leggiamo o ascoltiamo alate opinioni sulle opportunità offerte dall'università, sulla circolazione globale del sapere, sulla santità della ricerca finanziata dallo Stato.
Nessun accenno sull'arruolamento dei docenti, sul declino delle materie qualificanti in campo umanistico, sui macchinari arrugginiti nei laboratori, sulla lontananza dal mondo del lavoro, sul proliferare di master utili solo a spillare quattrini, sulla fuga dei cervelli. Il tutto, ovviamente, in un clima di conformismo soffocante, dove sono ammesse solo alcune idee, sappiamo quali.