
Riconoscere la Palestina, anche a costo di uccidere l'Unione europea. È il paradosso, e anche la contraddizione, più recente e più sorprendente della sinistra nostrana. Dopo essersi professato europeista fino al midollo e aver fiancheggiato Ursula von der Leyen, ora il Pd di Elly Schlein e soci sembra pronto ad abbandonare le convinzioni del recente passato per inseguire la strana e anomala deriva indicata da Emmanuel Macron e Keir Starmer con l'appoggio, mutevole e non sempre convinto, del tedesco Friedrich Merz. Insomma un'Europa declassata da 27 a uno e mezzo (Macron e Merz) con la partecipazione dell'intruso Starmer promosso a leader europeo "ad honorem" in virtù della fede laburista. Ma in queste scelte della sinistra nostrana a far più specie è la capacità di sottomettere all'ideologia ogni considerazione politica. A partire dalla popolarità e dalla capacità di rappresentanza dei leader scelti come nuovi proconsoli europei. E, nel caso di Starmer e Macron, anche come alfieri della causa palestinese.
Partiamo da Macron. L'inquilino dell'Eliseo, convinto di essere la reincarnazione di De Gaulle e Carlo Magno e, come tale, il più adatto ad indicare all'Ue le scelte di politica estera, è un presidente al lumicino con un consenso interno (dati Ifop del 13 luglio) precipitato al 19%. Un dato da dimissioni immediate inferiore persino al 23% registrato nel 2018 durante la crisi dei gilet gialli. L'inglese Starmer non sta meglio. In un anno è riuscito a dilapidare il successo elettorale del 2024 quando conquistò 407 seggi su 650. Oggi di quel trionfo non restano manco le briciole. Un sondaggio di More in Common dei primi di luglio lo da al 23% e prevede, in caso di elezioni, una netta vittoria di Reform, il partito anti europeista di Nigel Farage. Il tedesco Merz, fin qui assai reticente riguardo al riconoscimento dello Stato palestinese resta - nonostante una popolarità crollata al 35% - quello dei tre che se la passa meno peggio. In questo scenario il riconoscimento dello Stato palestinese, venduto da Pd e soci come la nuova stella polare dell'Europa, rischia di risultare vacuo e velleitario quanto la popolarità dei suoi due alfieri. Ammesso che rappresenti una risposta politica agli eccessi del governo Netanyahu, del suo esercito e dei coloni, il riconoscimento non avrà alcun effetto immediato se non quello di azzerare la già scarsa capacità dell'Unione di negoziare con Israele. Il che non è proprio un dettaglio.
Uno stato di Palestina tenuto a battesimo dai 27 non potrà esistere concretamente fino a quando non verrà riconosciuto da chi controlla i suoi confini, il suo cielo, il suo mare e la sua popolazione, ovvero Israele. Senza dimenticare che per permettergli di esistere bisognerà prima mettere alla porta il presidente Abu Mazen e la pletora di burocrati corrotti seduti al suo fianco, avviando un profondo processo di riforme interne. Un processo difficile da realizzare senza la collaborazione di Israele. Come dimostra la vicenda di Hebron dove le interferenze israeliane garantiscono a quattro capi clan locali di presentarsi come alternativa all'Anp. O quelle del Sud di Gaza dove Yasser Abu Shabab - un trafficante di droga beduino - si propone come alleato dell'Anp e di Israele nella distribuzione degli aiuti.
Ma soprattutto un processo impossibile da portare avanti, Macron e Starmer
lo sanno bene, senza il tandem dell'amministrazione statunitense pronta a usare il diritto di veto per bocciare qualsiasi mozione sul riconoscimento della Palestina presentata al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.