
Urla di un dolore sordo, lungo 712 giorni e 712 notti ormai. Un dolore che si acuisce a ogni promessa infranta, a ogni speranza frustrata. Grida a squarciagola davanti alla residenza del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, a Gerusalemme, mentre i carri armati entrano a Gaza City e poi ancora per la seconda notte di invasione: "Ho un solo interesse: che questo Paese si svegli e riporti indietro mio figlio insieme ad altri 47 ostaggi, vivi e deceduti, e che riporti a casa i nostri soldati". Il premier se ne va per non incrociare le proteste e lei continua a gridare: "Non gli piace ascoltarci ed è scappato come un codardo. Ma lo seguiremo ovunque, notte e giorno. Se non si ferma davanti a nulla e manda i nostri preziosi, coraggiosi ed eroici soldati a combattere, mentre i nostri ostaggi vengono usati come scudi umani, non è un degno primo ministro".
Einav Zangauker, mamma di Matan, 25 anni compiuti nelle mani dei terroristi a Gaza dopo essere stato rapito il 7 ottobre nel kibbut di Nir Oz, è diventata il simbolo della battaglia infinita delle famiglie dei rapiti. Da quando è scattata la grande offensiva sulla città di Gaza lunedì notte, i parenti di chi è ancora prigioniero nella Striscia hanno proclamato uno "stato di emergenza". Una manifestazione ogni sera, alle 19.30, davanti alla casa del premier, è la promessa. L'accampamento, afferma il Forum delle Famiglie, "rimarrà finché Netanyahu non ascolterà e non metterà in atto la volontà del popolo: il ritorno immediato di tutti gli ostaggi e la fine della guerra". Einav è destinata a esaudire la promessa, ancora e ancora. Perché dal 7 ottobre non ha mai smesso di scendere in piazza, di battersi per il suo ragazzo e per tutti gli altri ancora nelle mani dei barbari. Ha visto 148 famiglie prima soffrire con lei, poi gioire per la rinascita, il ritorno dei propri cari in questi 23 mesi di guerra e di attese, sofferte liberazioni. Quando l'abbiamo incontrata a Tel Aviv, davanti alla sede della Kirya, il quartier generale delle Forze di difesa israeliane, ce l'hanno indicata così: "La riconoscerai dalla magrezza e dalle occhiaie. Praticamente ha smesso di dormire perché non ha smesso di battagliare da quando il figlio è stato rapito". Al suo fianco, in queste ore, triste ironia della sorte, c'è la mamma di un altro giovane Matan, soldato di leva di 22 anni, che invita gli israeliani a Gerusalemme: "Netanyahu ha dato ordine di bombardare mio figlio dice Anat Angrast Venite con noi a combattere per la vita e il futuro di Israele. È un vero allarme. Il premier non fermerà questa guerra fino a che il popolo di Israele non si solleverà".
Le famiglie sperano ora più che mai in Donald Trump. "La pressione militare non ha salvato mio fratello - spiega Carmit Palty Katzir, sorella di Elad, rapito a Nir Oz e il cui corpo è stato recuperato dall'esercito israeliano nell'aprile scorso - Netanyahu non ascolta il nostro grido per salvare gli ostaggi e mettere fine a questo conflitto.
Ma ascolta lei. Lo porti al tavolo per un accordo. Sono 42 gli ostaggi catturati vivi e uccisi in cattività, 42 vite che avrebbero potuto essere salvate. Non possiamo lasciare che altri ostaggi diventino le prossime vittime".