Il pressing di M5s, Fatto e Procure e i mal di pancia di Lega e Fdi producono un primo effetto: la riforma firmata dall'ex Guardasigilli Marta Cartabia verrà cambiata con un decreto. «Servono interventi urgenti, anche di carattere normativo, dopo la recentissima segnalazione di talune criticità», recita una nota di Via Arenula sulla tanto discussa riforma pilastro del Pnrr «ma senza stravolgerne l'impianto», sennò addio soldi Ue. Come denunciato da alcuni magistrati, tre boss che avevano picchiato due ladruncoli rischiavano di uscire di galera (in custodia cautelare) senza la denuncia degli aggrediti. «Meglio tardi che mai, il governo finalmente ha capito la gravità dei danni provocati dalla riforma Cartabia», gongola il senatore M5s Roberto Scarpinato, che aveva annunciato una proposta di legge. «I Cinque stelle accusano Fratelli d'Italia ma la Cartabia l'hanno votata loro - ricorda il sottosegretario alla Giustizia Andrea Delmastro delle Vedove - inutile tentare di ritrovare una sorta di verginità con una mistificazione».
Scarpinato ce l'ha anche con Forza Italia: «Per una volta forse non sono gli azzurri a dettare l'agenda del governo, l'allarme che abbiamo lanciato presso l'opinione pubblica sta sortendo degli effetti e questo è importante». Ma l'allarme è davvero fondato? «Inutili i toni allarmistici, occorrono aggiustamenti limitati e da realizzare in modo chirurgico», sottolinea il professore di Diritto penale Gian Luigi Gatta, ex consigliere del Guardasigilli e custode dell'ortodossia della riforma. Il caso dei tre boss infatti era molto particolare. E la Cartabia non ha inciso sui «classici» reati mafiosi come estorsione, usura, sequestro di persona a scopo di estorsione, né sui reati di criminalità organizzata che restano procedibili d'ufficio. Insomma, l'allarme c'è solo nella testa di Scarpinato.
Ma tant'è. Sul tavolo del Guardasigilli, oltre alla riforma del suo predecessore, c'è quella che ha in mente lo stesso Nordio. Magistrati, politici e giornali amici delle Procure lo sanno bene e trovano ogni pretesto per «avvertire» il ministro: i privilegi delle toghe non si toccano. Ieri Repubblica ha lanciato l'ennesimo pizzino con vista sul nuovo Csm, che andrà a rimpiazzare quello scaduto ma forzatamente in prorogatio: «Gli annunci draconiani del ministro non mettono affatto di buon umore le toghe, anche quelle di centrodestra - Magistratura indipendente e Unicost - che potrebbero far convergere i voti sul candidato di Pd o M5s». Chi sta gestendo le trattative sulle nomine dei dieci membri laici - si comincia dopodomani, con una fumata nera ormai data per certa - sa che difficilmente le toghe voteranno davvero in modo compatto.
Mentre Fratelli d'Italia ragiona sull'ex parlamentare Giuseppe Valentino, Forza Italia lavora a due nomi «rosa». Ma nelle ultime ore sono venute fuori alcune candidature di apertura. Come quella dell'ex senatore renziano Giuseppe Luigi Cucca o del legale padovano considerato vicino alla Lega Fabio Pinelli. «Nomi su cui è possibile costruire un ragionamento - dice una fonte che lavora all'intesa tra centrodestra, Renzi e toghe moderate per chiudere il pacchetto di nomi entro martedì 24», anche per placare il nervosismo manifestato da alcuni togati, ansiosi di prendere possesso dell'incarico.
Ma senza un vicepresidente del Csm non ostile al centrodestra è difficile che si traducano speditamente in legge le riforme che ha in mente Nordio - dalla separazione delle carriere allo stop alle intercettazioni selvagge con mezzi lesivi di privacy e garanzie costituzionali, per evitare le «porcate» (Nordio dixit) di questi anni - e questo la magistratura più resistente al cambiamento lo sa bene. «Tra noi toghe c'è molto misoneismo, disprezzo del nuovo per conservare l'esistente», ammette un magistrato off the record al Giornale.
E oggi l'esistente, in un Paese intimamente populista e giustizialista, è il diritto penale «totale» senza legge né verità (come teorizzò il compianto Filippo Sgubbi), è la magistratura quasi salvifica contro i mali della società (vedi la mafia), è l'attesa non di una legge ma di una sentenza, è il diritto ad applicare le norme contro i nemici e interpretarle per gli amici, per usare le parole di Giovanni Giolitti. Un giocattolo che le toghe non molleranno facilmente.
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