
Le chiamavano l'Ohio di Italia. Quasi a significare, con un carico di suggestioni, che le Marche sarebbero state la regione più importante, addirittura decisiva, per leggere e interpretare la chiamata alle urne di queste settimane. Ma l'ardito paragone con gli Usa, e con lo Stato più in bilico, è un elastico corto che non allunga la bagarre nemmeno di un'ora. Francesco Acquaroli, il governatore uscente, è da subito saldamente in testa e si capisce presto, alle tre del pomeriggio di un lunedì quasi estivo, che la partita è finita prima ancora di cominciare. Matteo Ricci, l'ex sindaco di Pesaro candidato del centrosinistra, è indietro e la forchetta si allarga col passare delle ore. Alle 20 il gap è di otto punti: Acquaroli è al 52,59 contro il 44,29 di Ricci. Niente rush finale, niente fotofinish, niente di niente. Le Marche sono la terra di Leopardi e di tanti altri artisti, santi e imprenditori, nessuna parentela con gli Usa. Non solo: Fdi è il primo partito, al 27,57 per cento e cinque punti più del Pd che veleggia al 22,49 per cento. Il centrosinistra puntava ad espugnare il "regno" di Acquaroli, immaginando alla fine un 4 a 2 nelle sei Regioni al voto (senza contare la Val d'Aosta che viaggia a sé e dove si registra il boom dell'Union Valdotaine).
Ora le previsioni, più o meno trionfalistiche, devono essere ridimensionate. E Acquaroli festeggia: "Dedico questa vittoria a Giorgia Meloni che ha creduto in me prima di tutti. Siamo determinati a far sì che la nostra Regione torni, come merita, fra le più sviluppate d Italia e d'Europa". Poi il governatore, appena confermato, si concede una battuta: "Che vino è questa vittoria? Un vino rosso". Nel 2020, alla tornata precedente, Acquaroli, pur vittorioso, si era fermato sotto la soglia simbolica del 50 per cento, raggiungendo il 49,13 per cento. Dunque, c'è un incremento e il "campo largo" arretra: Maurizio Mangialardi era arrivato al 37,29 e il candidato dei 5 Stelle Gian Mario Mercorelli all'8,62. La scelta di presentare uno sfidante unico, appunto Ricci, non ha pagato e anzi rispetto a cinque anni fa il centrosinistra allargato ai 5 Stelle perde almeno un punto. Per Ricci si è fatto il possibile: "Il centrosinistra unito non basta. C'è ancora una forte spinta a destra e questo voto lo conferma".
Sarà, ma c'è anche una crisi del 5 Stelle e l'elettorato grillino non vota in generale i nomi proposti dal Pd. Se facciamo il confronto con le politiche del 2022, il dato più clamoroso è proprio il crollo del movimento di Giuseppe Conte: dal 13,38 al 5,13 per cento. È vero che il movimento fondato da Grillo dà il peggio di sé nelle consultazioni locali, ma lo schiaffo è forte. Il Pd sale, dal 20 fino quasi al 23 per cento, ma non abbastanza per contrastare il centrodestra a trazione FdI: il partito della premier perde un punto o poco più, dal 29 al 27,6 per cento, ma rimane avanti, nettamente in testa. Per il resto, a sinistra Avs cresce ma non sfonda, passando dal 3,33 delle politiche al 4,11 di oggi. Non c' è stato l'effetto Salis, così come non c' è stata una polarizzazione del voto su Gaza, evocata da Ricci, Schlein & C.
A destra invece Forza Italia scavalca la Lega: tre anni fa il partito di Salvini era all'8 per cento e Fi inseguiva al 6,78. Ora la situazione è ribaltata: Fi è all'8,62 e la Lega al 7,37. Nel complesso, le Marche cercano la continuità e premiano, a destra ma anche a sinistra, le formazioni meno radicali. Anche se naturalmente i risultati devono tenere conto dei candidati minori e delle varie liste civiche scese in campo.
C'è poi da considerare il tema dell'affluenza, scesa inesorabilmente anche in questa tornata ad un risicato 50,01 per cento. "Però - spiega Livio Gigliuto, presidente dell'Istituto Piepoli - il dato di fondo è che Ricci non ha saputo attrarre segmenti dell'elettorato di Acquaroli, nemmeno gli scontenti che pure c'erano".