Marino all'ultima spiaggia. E rischia pure nuovi guai

Il sindaco: "Dimissioni? Sto riflettendo". Intanto finisce nel mirino dei pm per i contratti fantasma della sua Onlus

Marino all'ultima spiaggia. E rischia pure nuovi guai

Altro giro, altro rebus, altri veleni. Per spingere Marino a non rimangiarsi le dimissioni e liquidare la pratica, il Pd si sarebbe ritrovato tra le mani una pistola fumante. L'indagine per truffa che la procura di Roma - pm Pantaleo Polifemo - ha avviato sui contratti fantasma della onlus Imagine , creata nel 2005 dall'attuale sindaco dimissionario di Roma. Oltre al consulente informatico assunto da Marino, lo stesso primo cittadino - che si è sempre dichiarato parte lesa nella vicenda - sarebbe coinvolto nell'indagine.

Tra rumors e odore di nuove magagne quello che sembrava essere il giorno del dietrofront, con le voci di un imminente ritiro delle dimissioni e l'inizio di un nuovo braccio di ferro dai tempi incerti tra sindaco e Pd, termina con un esito a sorpresa. L'ultimo capitolo della guerra di nervi tra dem e primo cittadino «dimissionario» (virgolette d'obbligo) è il meeting ristretto nell'appartamento del vicesindaco Marco Causi convocato in serata. Intorno al tavolo, oltre al padrone di casa, lo stesso Marino, la sua fedelissima assessora Alessandra Cattoi, il presidente Pd e commissario romano del partito Matteo Orfini e gli assessori a trasporti e legalità Stefano Esposito e Alfonso Sabella. Scopo dell'incontro, trovare una soluzione che eviti spargimenti di sangue (e fango). Ma a fine cena le posizioni non cambiano. Marino va via continuando a «riflettere» sul ritiro delle dimissioni. Causi sospira che «l'importante è che si sia aperto un confronto».

Certo l'incontro tradisce la delicatezza del momento. L'urgenza e la riservatezza con cui è stato convocato confermano i timori del Pd sulle intenzioni di Marino. L'annuncio del ritiro delle dimissioni, atteso ieri, sarebbe stato rimandato in attesa del rientro di Renzi dal Sudamerica che in serata ha specificato «il totale sostegno al commissario Orfini». Il sindaco si aspettava l'apertura di un canale di trattativa con il premier, una volta dimessosi, e non ha preso bene il generale sospiro di sollievo che s'è levato dai dem, lestissimi a considerare l'esperienza del «marziano» un capitolo chiuso. Tanto che Renzi, alla richiesta di un faccia a faccia, avrebbe dato la sua disponibilità solo a dimissioni ormai efficaci.

Così Ignazio si è messo l'elmetto. Sapendo bene che per quanto possa «guardare avanti», come ripete tra tagli di nastri e riunioni di giunta, la sua avventura sul colle capitolino non ha sbocchi. I suoi assessori sono pronti quasi all'unanimità a voltargli le spalle nel momento in cui dovesse davvero decidere di continuare. E a quel punto la sua «resistenza» - senza più squadra e senza uno straccio di maggioranza - finirebbe per apparire priva di senso persino ai suoi sostenitori.

Finora il carburante che lo ha spinto alla guerra col Pd è stato l'orgoglio. Costretto a dimettersi sull'onda delle polemiche per gli scontrini del cena-gate, Marino vorrebbe dal suo partito, e dal premier in particolare, almeno l'onore delle armi, se non addirittura una tregua per restare in sella ancora un po'. Una soluzione per «cadere in piedi», che magari gli permetta di essere ancora in carica quando, il 5 novembre, inizierà il processo per Mafia Capitale. Rimarcando, nel solco della narrazione del sindaco-chirurgo, il suo autoassegnato ruolo di argine agli interessi criminali emersi con Mondo di Mezzo.

Ma proprio l'aver esacerbato lo scontro con il «suo» partito rende questa via difficile da praticare.

Il premier, Orfini e i renziani sono tutti irritati dal prolungato stallo messicano, e determinati a chiudere in fretta la questione. Con le buone o con le cattive. E, nel caso, anche con qualche venticello giudiziario.

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