Gerusalemme. Sembra che la data del varo del piano di pace americano possa slittare. A Washington si aspetta con ansia il verbo di Trump. Difficile decisione in questi tempi di crisi: a Gerusalemme i pareri sono diversi sui tempi e le dimensioni come negli Usa. Si spera ancora nel dialogo, ma i palestinesi si negano perché col rifiuto del piano sono di nuovo sulla cresta dell'onda: qualsiasi cosa Trump preveda nell'«accordo del Secolo», nessuno l'ha letto, basta condannarlo. La falange che si è mossa contro il piano immaginando che sia la pura descrizione di un furto di «territori palestinesi illegalmente occupati» è infiammata dal sacro fuoco della sua ignoranza. Non sa che quei territori non sono mai stati né ritenuti da nessun trattato internazionale palestinesi ma che, originariamente assegnati a Israele, erano stati occupati dalla Giordania nel '48 e poi conquistati nella guerra che la Giordania ha fatto a Israele nel '67.
Non sa che le risoluzioni Onu non parlano di «occupazione illegale» ma di «territori disputati» e che quella è un'invenzione palestinese. Non sa soprattutto che il piano di Trump è la copia carbone del disegno di Rabin per i Territori (compresa Gerusalemme che Rabin giurò sarebbe sempre stata unita) e la Valle del Giordano. Sette ambasciatori europei all'Onu hanno condannato il piano, il segretario Antonio Guterres con il segretario della Lega Araba Ahmed Abu Gheit con loro, il commissario Ue Borrell minaccia sanzioni, il programma scientifico europeo Horizon cui Israele dà un contributo insuperabile minaccia di cacciarlo, il Belgio annuncia che riconoscerà lo Stato Palestinese, l'Iran non vi dico, i palestinesi hanno indetto una manifestazione in cui turchi e russi primeggiavano col delegato Onu per il Medioriente Madlenoff. L'accusa è sempre la stessa, avalla la promessa di violenza dei palestinesi come Hamas che ha già promesso la solita strage. La critica è la stessa: il piano blocca il dialogo e il processo di pace che porti a «due stati per due popoli». Ma da tempo i palestinesi hanno optato solo per la macchina di incitamento, e non parlano con Israele.
Il piano invece prevede proprio due stati per due popoli e nessuna acquisizione di territorio che non sia stata già sancita dagli accordi di Oslo. I territori sono stati allora suddivisi in tre zone: A sotto l'autorità palestinese, e vi si trovano tutte le città; B, sotto il controllo di ambedue; C sotto il controllo israeliano. Questa suddivisione è firmata da Arafat. Nella zona C ci sono gli insediamenti israeliani, 450mila persone, che mai i palestinesi hanno desiderato incamerare. L'idea di uno sradicamento di tale massa è da escludere, dato il precedente di Gaza, su cui è fiorita Hamas. Israele passerebbe all'amministrazione civile (e non militare come oggi) il 50% solo di quella zona C. Infatti parte dei settler protesta che resterà isolato e in pericolo. Il pericolo e quindi il tema della sicurezza accompagna tutto il piano, oltre a quello della mai riconosciuta legittimità della storia ebraica in Israele.
Insieme alla Valle del Giordano che è una specie di autostrada contro eventuali invasioni arabe si arriva al 30% del territorio. Il 70% viene destinato dagli americani allo Stato palestinese, con finanziamenti di 50 miliardi e swap territoriali che li compensino. In 4 anni dovranno camminare sulla strada dei diritti umani e della democrazia.
Ma ogni richiesta è troppo per i palestinesi, abituati a promettere pace mentre preparano il rifiuto, come già accaduto trattando con Rabin, Peres, Barak, Olmert, Netanyahu. Tutti hanno assaggiato il loro no e il loro terrorismo mentre rifiutano di riconoscere lo Stato ebraico.
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