Meloni e il timore dell'astensione. Appello al voto della premier

"Non voltatevi dall'altra parte, l'Ue si occupa di noi più di quanto pensiamo". Sul premierato: se perdo il referendum resto a Chigi

Meloni e il timore dell'astensione. Appello al voto della premier
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Il timore è evidentemente l'astensionismo, con tutti gli istituti di rilevazione che sono concordi nel dire che domani e domenica l'affluenza sarà più bassa del già non eccelso 54,5% delle Europee 2019. Una circostanza, questo è il timore che aleggia a via della Scrofa, che potrebbe penalizzare proprio Fratelli d'Italia. Così, non stupisce che ieri Giorgia Meloni abbia deciso di lanciare una sorta di appello. «I cittadini - è l'invito della premier - vadano a votare e non si voltino dall'altra parte, perché l'Europa si occupa della loro quotidianità molto più di quel che credono» e «sappiano che ogni croce sul simbolo di Fratelli d'Italia la userò per portare a casa risultati per i cittadini italiani».

Insomma, una sorta di chiamata alle armi. Perché il rischio è che proprio gli elettori di Fdi - convinti di una vittoria che prima del silenzio elettorale i sondaggi davano ampia - possano prendere la tornata elettorale sotto gamba in un week end da piena estate. Sarebbe un problema, anche perché Meloni è scesa in campo personalmente in queste elezioni, prima candidandosi capolista in tutte le circoscrizioni e poi con lo slogan lanciato a Pescare del «scrivete Giorgia» sulla scheda. Un referendum, insomma. Termine che non a caso la leader di Fdi ha evocato anche nel comizio di chiusura della campagna elettorale il primo giugno a piazza del Popolo.

Intervenendo a Porta a Porta, la premier rivendica i risultati della sua azione di governo. «Credo che qualunque persona onesta veda che non si è mai parlato dell'Italia come in queste settimane», dice. Insomma, «l'Italia è tornata e può migliorare». E ancora: «Non è solamente un fatto di orgoglio, perché essere ascoltati, credibili e rispettati, vuol dire poter difendere i propri interessi».

Poi torna sula riforma della Giustizia, che rivendica («la politica sta facendo un passo indietro e chiede di farlo anche alle correnti politicizzate che umiliano il lavoro dei magistrati»). E ribadisce che andrà avanti sulla riforma del premierato. In caso di sconfitta al referendum, ripete ancora una volta, non lascerà la guida del governo perché, dice, «volgio scalare la classifica dei governi più longevi» e «arrivare alla fine di questi cinque anni». Anche se, davvero il premierato fosse bocciato dopo una campagna referendaria che spacca a metà il Paese, non sarà affatto facile riuscire a tenere in piedi il governo.

Infine, nuovo affondo sul Superbonus: «Parliamo di 120 miliardi di euro che lo Stato

dovrà pagare per aver ristrutturato meno del 4% delle case degli italiani, prevalentemente seconde case. Soldi che sono stati tolti a chi aveva bisogno». Con quelli, aggiunge, sulla sanità si sarebbe potuto fare molto di più.

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