Europa

Meloni non arretra: "Vogliono isolarci. Macron ci scarica tensioni interne". Il Colle: ora dialogo

Palazzo Chigi fuori sincrono: disastrosa la gestione del dossier. Parigi furiosa. Piantedosi: "Incomprensibile: ne hanno presi solo 38 su 90mila sbarcati".

Meloni non arretra: "Vogliono isolarci. Macron ci scarica tensioni interne". Il Colle: ora dialogo

Nessun dubbio o ripensamento, anzi l'assoluta certezza di essere dalla parte della ragione. Senza se e senza ma. Questo, almeno, è il sentiment che filtra per tutta la giornata non solo da Palazzo Chigi, ma anche da alcuni dei ministeri più sensibili allo scontro all'arma bianca in corso ormai da 48 ore tra Parigi e Roma. Una vera e propria crisi diplomatica come non si vedeva dai tempi dei gilet gialli, quando nel febbraio del 2019 la sconsiderata sortita oltralpe di Luigi Di Maio portò l'Eliseo a richiamare l'ambasciatore a Roma. Un corto circuito, va detto, nel quale il nostro governo ha però le sue responsabilità. Non solo perché i toni trionfalistici usati dalla maggioranza dopo che Parigi aveva deciso di accogliere la Ocean Viking non rientrano affatto nel bon ton della diplomazia, ma pure perché l'intesa tra Giorgia Meloni ed Emmanuel Macron - trovata a Sharm El Sheikh a margine della conferenza sul clima Cop27 - prevedeva di non dare troppo risalto alla vicenda. Non a caso, l'Eliseo si è ben guardato dal comunicare la sua decisione di far attraccare in Francia la Ocean Viking, nave della ong francese Sos Mediterranée. A differenza di Palazzo Chigi, che martedì sera ha invece deciso di mettere il cappello sulla decisione di Parigi di «condividere le responsabilità dell'emergenza migratoria». Per Macron, che in casa è alle prese con la dura opposizione di Marine Le Pen, un colpo durissimo («accettando che migranti sbarchino in Francia, l'Eliseo lancia un segnale drammatico di lassismo», attacca la leader del Rassemblement National). Con l'affondo finale di Matteo Salvini («l'aria è cambiata», fa sapere il ministro delle Infrastrutture, primo teorico dei porti chiusi nel Conte 1).

È in questo passaggio che si consuma il corto-circuito. E che da Parigi si leva la contraerea su due diversi fronti: quello diplomatico e quello della comunicazione. Un assalto che si conclude verso l'ora di pranzo di ieri, con il ministro dell'Interno francese, Gérald Darmanin, che annuncia la sospensione del meccanismo di ricollocamento in Europa dei rifugiati in Italia e che invita esplicitamente la Germania a fare lo stesso. Una affondo pesantissimo, che politicamente spinge l'Italia ai margini dell'Ue e la schiaccia verso il gruppo di Visegrad. L'Eliso non solo gioca di sponda con la mai troppo amata Berlino, ma sul punto si muove con il sostegno di Bruxelles. Dove nessuno ha apprezzato la scelta italiana di aprire una battaglia identitaria sullo sbarco di una nave Ong con a bordo 234 migranti quando l'Ue è alle prese con milioni e milioni di profughi ucraini, destinati ad aumentare di qui a poche settimane, quando l'inverno e la mancanza di elettricità a Kiev moltiplicheranno vertiginosamente i rifugiati.

Insomma, le buone ragioni dell'Italia sulla necessità che l'Europa si faccia carico della redistribuzione dei migranti economici, sono andate a sbattere contro una pessima gestione del dossier sotto il profilo diplomatico e della comunicazione. Tanto dal produrre quella che a Bruxelles definiscono una over reaction. Una reazione eccessiva, certo. Ma che, per quanto sopra le righe, segnerà il futuro del governo Meloni. Dopo l'affondo di Darmanin il governo italiano tace per oltre tre ore. Poi è il ministro dell'Interno, Matteo Piantedosi, a rispondere al suo omologo. La reazione della Francia è «incomprensibile». E ancora: «In Italia quest'anno sono sbarcate 90mila persone. Tredici paesi europei si sono impegnati a ricollocarne complessivamente circa 8mila, ma finora ne sono state ricollocate solo 117 (lo 0,13% degli arrivati), di cui in Francia 38 (lo 0,004%)». È esattamente il pensiero di Meloni. Che tace, ma non arretra di un metro. «Abbiamo totalmente ragione, perché l'accordo sulla redistribuzione da cui la Francia oggi si chiama fuori non è mai stato davvero attuato», è il senso dei suo ragionamenti. Su 3.500 che dovevano accoglierne, d'altra parte, fino ad oggi - sono i numeri di Piantedosi - ne hanno fatti entrare solo 38. Il premier, insomma, è convinto che la reazione di Parigi sia pretestuosa. «Mi vogliono isolare», dice ai suo collaboratori più stretti. Con i quali non lesina critiche a Macron. «È in caduta libera nei sondaggi e alle prese con tensioni politiche interne che scarica su di noi», spiega ai suoi Meloni. Insomma, tutta colpa della fronda della Le Pen.

Anche il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, è sulla linea di Palazzo Chigi. «Dalla Francia una reazione sproporzionata», dice da Amsterdam. Dove è in vista insieme a Sergio Mattarella. Che pubblicamente non entra nella querelle, ma che auspica una celere ripresa del dialogo tra Roma e Parigi.

Un scambio - quello tra Colle ed Eliseo - che era solido prima del Trattato del Quirinale e che resterà tale a prescindere dalle tensioni contingenti.

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