Europa

Meloni mette d'accordo l'Europa e Orban

Sì agli aiuti a Kiev, fondi per 50 miliardi. Orban entra nei Conservatori. Il governo italiano ha avuto un ruolo fi primo piano. La premier protagonista della mediazione

Meloni mette d'accordo l'Europa e Orban

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Meloni spinge l'intesa in Ue. Asse con Parigi sugli agricoltori

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nostro inviato a Bruxelles

Fuori dall'Europa building arriva saltuaria qualche folata di vento che si porta dietro l'odore degli pneumatici in fiamme a Place du Luxembourg, la piazza davanti al Parlamento europeo che dista meno di un chilometro dalla sede dove si stanno riunendo i 27 capi di Stato e di governo dell'Ue per il primo Consiglio europeo del 2024. Mentre le strade di Bruxelles sono paralizzate dalla protesta degli agricoltori e dei loro trattatori, i leader dell'Unione stanno infatti cercando un'intesa fondamentale sul bilancio comune e sugli aiuti all'Ucraina. Ma è necessario superare le note resistenze dell'Ungheria, che a dicembre si era messa di traverso.

Così, fin dalla prima mattina, i principali leader dell'Ue si incontrano in riunioni ristrette e bilaterali volanti. Alle nove sono già seduti allo stesso tavolo Ursula von der Leyn, Charles Michel, Emmanuel Macron, Olaf Scholz, Giorgia Meloni e Viktor Orban. La premier italiana e il primo ministro ungherese si riuniranno poi da soli (e senza sherpa) in due diverse occasioni prima che quest'ultimo decida di capitolare e dare il suo via libera all'intesa. Un accordo sul quale, non a caso, filtra la «grande soddisfazione» di Palazzo Chigi che rivendica il «ruolo di primo piano» di Meloni che, spiega il ministro Raffaele Fitto, ha messo in campo «un'intensa e sapiente azione di mediazione» sia «nelle ultime settimane» che «direttamente qui a Bruxelles in queste ore».

Su Orban si sono spinti in pressing molti leader, a partire da Macron. Ma Meloni - che con il leader ungherese ha un canale da tempo e che dopo le Europee è pronta ad accogliere il suo Fidesz nei Conservatori europei - ha avuto un ruolo non secondario. Il ragionamento, su cui ha convenuto Orban, è che sarebbe stato inutile continuare a minacciare il veto, perché la risposta del Consiglio Ue sarebbe stata quella di avviare la procedura - niente affatto breve - dell'articolo 7, paragrafo 2 del Trattato costitutivo dell'Unione (una sostanziale espulsione). Oltre a pesanti ritorsioni economiche su Budapest, che infatti ha visto andare quasi deserta l'ultima asta dei titoli di Stato. «Siamo sempre stati convinti che una soluzione a 26 sarebbe stata un precedente pericoloso e siamo soddisfatti di aver portato a casa una solo a 27», spiega Meloni. Una rottura oggi, d'altra parte, non avrebbe avuto senso. Anche perché l'auspicio del premier - e anche di Orban, che proprio ieri ha confermato a Repubblica e Stampa che entrerà in Ecr - è che i Conservatori riescano a ritagliarsi un ruolo di primo piano negli equilibri europei post elezioni del 9 giugno.

Archiviati i dossier su bilancio comune e aiuti a Kiev, i Ventisette affrontano anche la protesta degli agricoltori. Con un inedito asse tra Macron e Meloni. Il primo chiede a von der Leyen di convocare un Consiglio Ue straordinario ad hoc, la seconda dice che a suo avviso «la politica europea sull'agricoltura va cambiata» perché «si è sbagliato molto da questo punto di vista» e si è «scambiata» la transizione ecologica con la transizione ideologica. Poi, in un punto stampa al termine del vertice, rivendica le scelte fatte in passato: «Io sono leader politico di un partito che in Europa ha votato contro la gran parte delle questioni che oggi giustamente gli agricoltori pongono».

Dopo gli incontri con Orban (ben tre, considerando quello di mercoledì sera all'hotel Amigo) e prima di lasciare Bruxelles, Meloni si sofferma anche sulla vicenda di Ilaria Salis. Conferma l'impegno del governo italiano affinché le «venga riservato un trattamento dignitoso», ma mantenendo una certa dose di distacco. Le sue, dice, «sono immagini che da noi impattano» perché «non è nel nostro costume», ma «in diversi stati sovrani funziona così». Poi, certo, spiega la premier, spero le sia riservato «un giusto e veloce processo». Sottolinea il concetto della velocità, segno che a Palazzo Chigi considerano la tempistica un elemento prioritario per riuscire a trovare la soluzione più efficace a una vicenda comunque ancora ingarbugliata.

Quanto all'eventuale detenzione in Italia, «il tema va discusso quando sapremo come andrà il processo».

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