Mezzo secolo di consultazioni finite nel nulla. Il precedente della responsabilità civile dei pm

Nel 1987, l'80% votò perché i magistrati pagassero per i loro errori. Ma le Camere legiferarono diversamente. Rai, soldi ai partiti e ministeri: ecco i casi più eclatanti

Mezzo secolo di consultazioni finite nel nulla. Il precedente della responsabilità civile dei pm

Un referendum non è né facile da ottenere (500mila firme) né, una volta passato, facile da trasformare in legge. Eppure l'Italia è il Paese dei referendum coi Radicali grandi maestri. Dal 1946 ad oggi in Italia si sono svolti 74 referendum, di cui 67 abrogativi, uno istituzionale, uno consultivo e 4 costituzionali. Ma dall'abolizione del finanziamento ai partiti a quella del ministero dell'Agricoltura in molti casi la volontà popolare è stata tradita. Con o senza quorum. Se togliamo il referendum sul divorzio (1974) e quello sull'aborto (1981) pochi altri hanno ottenuto un simile successo.

Ci piace promuoverli un po' casaccio (vedi quello sui fitofarmaci), anche se poi non serve a niente. Solo a sperperare denaro pubblico. Ma la chiamano democrazia. I referendum appassionano sempre più solo i politici ma sempre meno il popolo. Dal 1970, anno dell'istituzione della consultazione popolare per abrogare le leggi, il calo nella partecipazione alle urne è stato progressivo (dall'88% di votanti per il divorzio, al 23% per l'abolizione della quota proporzionale alla Camera nel 2009).

Chi li promuove ha la presunzione di credere che una volta passati diventeranno leggi, ma non è così. Per questo anche le recenti raccolte firme su eutanasia, cannabis e green pass non promettono nulla di buono. Gli oppositori al referendum hanno sempre trasformato l'astensionismo in una strategia di vittoria. Come fecero i cacciatori nel 1990, sul referendum per la disciplina della caccia (43%, non raggiunto). Emblematico il caso del referendum del 1987 sulla responsabilità civile dei magistrati. L'80% degli italiani votò sì. E nacque la legge Vassalli, sul risarcimento. Di fatto però il dettato del referendum fu disatteso. Dal 1997 in poi l'astensionismo ha portato al fallimento di 6 referendum su 7; eccezion fatta per quello sull'acqua e sull'energia nucleare del 2011. Che comunque non hanno prodotto gli effetti sperati, soprattutto per quanto riguarda il costo delle bollette.

Sul finanziamento pubblico ai partiti gli italiani si sono pronunciati nel 1993. «Basta soldi alla partitocrazia», fu lo slogan dei radicali. Nei fatti, però, non ci fu alcuna rivoluzione. Con la legge 515 del 10 dicembre 1993, tutto rimase come prima.

Sempre nel 1993, surreale la querelle intorno al ministero dell'Agricoltura. Cassato dal voto referendario con il 77% è risorto con la dizione «ministero delle risorse agricole, alimentari e forestali». Stesse deleghe, ma diverso nome. Uguale per il ministero del Turismo e dello spettacolo, abrogato per sempre dal referendum del 1993 col 77%, ma che esiste tutt'oggi con una definizione differente.

Eclatante il referendum sulla privatizzazione della Rai: l'11 giugno 1995 gli italiani si espressero a favore della fine del connubio tra politica e tv statale. I promotori (Radicali e Lega nord) volevano aprire la Rai ai privati, ma nei fatti la politica oggi conta più di prima.

In tanti altri casi, la partecipazione popolare non è bastata a raggiungere il quorum. È accaduto dal 1997 al 2009 per ben 24 quesiti che andavano dalla caccia all'Ordine dei giornalisti, dalla separazione delle carriere dei magistrati (4 volte) ai licenziamenti, dall'elezione del Csm all'obiezione di coscienza, dalla procreazione assistita alle elezioni di Camera e Senato. Dodici anni di soldi buttati al vento.

Siamo riusciti a fare anche un referendum sul referendum come il quesito del 2000 sull'abrogazione del rimborso delle spese per consultazioni elettorali e referendarie (32%, quorum non raggiunto).

Subito dopo tutti si affrettano a farsi interpreti della vox populi, stratagemma gattopardesco per non cambiare nulla. Facendo spendere milioni e milioni di euro agli italiani. Inutilmente.

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