"Nella stanza con la 18enne tra droghe e allucinazioni"

Il manager Genovese interrogato per 5 ore dai pm. È accusato di aver abusato della ragazza a una festa

"Nella stanza con la 18enne tra droghe e allucinazioni"

La strategia difensiva dell'imprenditore Alberto Genovese, accusato di aver sequestrato e violentato una 18enne durante una festa nel suo attico vicino al Duomo di Milano, è chiara: «concedere» ai pm (che ieri lo hanno interrogato per 5 ore) parziali ammissioni sullo stupro, dando però la «colpa» degli abusi a un «uso massiccio di droghe» che avrebbe provocato in lui uno «stato allucinogeno» tale da «impedirgli di distinguere tra bene e male». Insomma, secondo questa tesi, «complici» del dramma che si consumò la notte del 10 ottobre proseguendo fino alla mattina del giorno successivo, sarebbero la cocaina oltre a un «cocktail» a base di sostanze sintetiche per «sballare» meglio, lo stesso mix stupefacente che Genovese fece assumere alla giovane vittima per annullarne ogni resistenza. Ovviamente la tattica di Genovese funzionale al contenimento dei danni giudiziari dovrà essere supportata da prove documentali; ma non è da escludersi che con dei buoni avvocati (e i due legali scelti da Genovese lo sono certamente) la condanna dell'imprenditore possa alla fine risultare dura ma non durissima. Del resto Genovese, 43 anni, «genio» delle start up ed ex numero uno di «Facile.it» e «Prima Assicurazioni», non ha vie di scelta, se non quella di procedere lungo la strada di una parziale incapacità di intendere e volere. Nel corso del faccia a faccia coi pm milanesi lo ha ribadito: «Ogni volta che mi drogo ho allucinazioni e in tale stato non ho più la percezione del limite esatto tra legalità e illegalità. Ho bisogno di essere curato anche se mi sento una persona intimamente sana». Ma in quella dannata sera della festa sulla famigerata «Terrazza Sentimento» Genovese era lucido o alterato dalla cocaina? Il grado di «pesantezza» del verdetto dei giudici, quando Genovese andrà a processo, dipende anche da questo particolare. Intanto, da ciò che è emerso dalle indagini, è assodato che l'imprenditore, prima di chiudersi in camera con la sua preda, le fece assumere droga e ketamina, ordinando a un buttafuori di presidiare l'ingresso della stanza. L'ordine fu perentorio: «Non fare entrare nessuno». E dedurne la ragione è fin troppo semplice. Solo nel pomeriggio del giorno successivo, quando era stata liberata, la giovane riuscì a lasciare l'attico di Genovese, denunciando poi l'imprenditore. Nei video delle telecamere di sorveglianza della casa (che il manager cercò vanamente di far distruggere), sequestrati dalla Squadra mobile, sono immortalate le sequenze dell'intera serata. Il procuratore aggiunto Letizia Mannella e il pm Rosa Stagnaro, però, non puntano solo a fare luce sul festino del 10 ottobre, ma pure a inquadrare meglio il contesto in cui si muoveva Genovese, a capire se - come pare emergere dagli accertamenti - quello sulla 18enne non sia l'unico episodio di abusi commessi dall'imprenditore. Tesi di cui si è persuaso anche il gip che, in precedenza, aveva convalidato l'arresto motivandolo tra l'altro col «pericolo di reiterazione del reato». Come dire: Genovese è uno stupratore seriale che va tenuto in cella in quanto ancora pericoloso per sé, ma soprattutto per gli altri. Tanti i testimoni già ascoltati dai magistrati, tra cui il maggiordomo, il buttafuori e una giovane ospite coinvolta in un caso analogo.

Genovese, dopo l'interrogatorio in procura, è

tornato nel carcere di San Vittore dov'è rinchiuso dal 6 novembre, bloccato mentre si apprestava a fuggire in Sudafrica. Violenza sessuale, lesioni gravissime e sequestro di persona i tre macigni che ora pendono sul suo capo.

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