
Chi rema contro il piano di pace? Nelle ore dell'entrata in vigore del cessate il fuoco Hamas ha inviato l'ordine via cellulare: "In nome del dovere nazionale e religioso bisogna ripulire Gaza dai fuorilegge e collaboratori dei sionisti. Presentatevi entro 24 ore presso i centri di comando designati per la mobilitazione generale". Non a caso sono subito scoppiati scontri con i clan che non vogliono farsi più mettere i piedi in testa dagli islamisti. Gli uomini in nero con il volto mascherato e armati di kalashnikov di Hamas sono usciti dai tunnel per organizzare posti di blocco, pattugliamenti e punizioni dei traditori. Un filmato mostra la gambizzazione di un anonimo gazawi non si capisce per quale colpa. Hamas punterebbe a schierare 7mila uomini, ma in realtà la metà avrebbe risposto all'ordine di mobilitazione. E ieri a Sharm el Sheik il presidente americano, Donald Trump, ha fatto capire che è stato dato il via libera ai responsabili del 7 ottobre per funzioni temporanee di polizia.
Ancora più del Movimento islamico remano contro il piano di pace gli altri gruppi armati palestinesi a Gaza. Prima fra tutti la Jihad islamica con l'ala armata Brigate al Quds, nome arabo di Gerusalemme. Ziad al-Nakhalah, leader del gruppo terroristico, tuonava qualche giorno fa con una tv libanese sul piano di pace: "Non aspettatevi che soccombiamo alle condizioni e ai diktat dell'entità sionista dopo tutti i sacrifici che abbiamo fatto e i martiri che abbiamo avuto". Sulla seconda fase prevista da Trump che dovrebbe portare al disarmo di Hamas e all'esclusione dal governo a Gaza è stata firmata addirittura una dichiarazione congiunta con la Jihad e il Fronte popolare di liberazione della Palestina, gruppo laico ex marxista, che conta pure sulla Brigate Alì Mustafà. Il governo della Striscia deve rimanere una "questione puramente interna palestinese. Rinnoviamo il nostro rifiuto di qualsiasi tutela straniera". E assieme ad Hamas invitano a un "urgente incontro nazionale globale" per cambiare le carte in tavola del piano. Lo spettro di una guerra civile è dietro l'angolo. All'inizio del cessate il fuoco è scoppiato il primo scontro con i miliziani di un clan per il controllo dell'area portuale. Poi le "battaglie" sono continuate con la famiglia Doghmush nel quartiere Tel al-Hawa di Gaza city, che ha lasciato 27 morti sul terreno. Fra i feriti, dalla parte di Hamas, c'è il figlio di Naim Basem, l'ex ministro della Salute di Gaza, che fa parte del vertice politico all'estero tra Doha e Istanbul. La guerra con i clan per il controllo della Striscia ha coinvolto anche la "Strike force contro il terrore" di Hossam al-Astal a Khan Younis dove sono scoppiati scontri pure con gli al Majida. Nella zona ancora piantonata dagli israeliani si stanno preparando le Forze popolari del beduino Yasser Abu Shabab, armato da Israele, che un tempo strizzava l'occhio all'Isis. Al Astal, che posta foto sui social attorniato da miliziani armati, lancia proclami attraverso il Times of Israel: "Combatteremo Hamas fino a quando non sarà sparito. Non ci sarà un'Hamas 2.0".
L'ala armata, le Brigate al-Qassam decimate da due anni di guerra sono ancora guidate da Izzedine al Haddad e da una serie di vice da Raed Saad, a Mohammed Odeh e Mohand Rajab. Proprio il numero due, Saad, sarebbe in contrasto con "il fantasma" come viene chiamato al Haddad per essere sfuggito sei volte agli israeliani.
Il problema vero è rappresentato dai giovani e inesperti comandanti delle cellule sopravvissute, che non hanno intenzione di disarmare come prevede il piano di pace. Al Haddad punta almeno a mantenere le armi leggere, ma potrebbe non controllare del tutto quello che resta dell'ala armata di Hamas.