
La comunicazione, negli Usa, ha smesso di essere confronto e si è fatta guerra di parole prima di degenerare. La democrazia più antica del mondo, già modello da esportazione, sembra avvitata su se stessa e non certo (solo) dopo l'assassinio di Charlie Kirk o genericamente per la questione Trump: c'è un'aggressività bipolarizzata che comincia dagli anni Novanta, quando il politico e scrittore Newt Gingrich invitava a chiamare gli avversari "corrotti" e "traditori" e faceva nascere un linguaggio che i social e le televisioni, ora, hanno trasformato in moneta sonante.
La libertà di parola è ormai senza limiti e filtri e responsabilità: ogni cittadino è un potenziale editore, le armi sono un diritto costituzionale e la distanza tra parola e atto è ridotta a un niente. I sondaggi più solidi indicano una quota di cittadini non irrilevante (tra il 10 e il 25 per cento) secondo la quale la violenza politica è giustificabile "in certi casi", si parla dunque di milioni di persone. Gli analisti lo chiamano (è un po' ìlare) "terrorismo stocastico": si lanciano parole, qualcuno le raccoglie e poi agisce. Dire "guerra civile" pare troppo, non certo nel senso europeo e novecentesco, con fronti contrapposti e armati; non ci sono neppure Brigate rosse o similari come nell'Italia degli anni Settanta. È in corso, o sembra, un conflitto diffuso e seriale fatto di episodi scollegati ma uniti dalla stessa delegittimazione dell'autorità: non nella forma della guerra, ma nei suoi effetti che sono destabilizzazione, paura e corrosione delle istituzioni. In Italia, negli anni Settanta, la violenza aveva il marchio di organizzazioni con una catena di comando e un progetto politico; negli Usa, oggi, ha il volto di individui isolati che trovano nel linguaggio d'odio un detonatore. La differenza è nella forma, non nella sostanza: lo Stato italiano fronteggiava dei gruppi che dichiaravano guerra, gli Usa affrontano milioni di cittadini che trovano un nemico, talvolta, nel vicino di casa.
È una guerra a bassa intensità. Gennaio 2011: la deputata democratica Gabrielle Giffords viene colpita a colpi di pistola in Arizona; i morti sono sei, l'America scopre la vulnerabilità dei rappresentanti. Giugno 2017: un simpatizzante democratico spara contro parlamentari repubblicani impegnati in una partita di baseball; il deputato Steve Scalise è ferito gravemente. Nel 2020 viene sventato un rapimento della governatrice del Michigan Gretchen Whitmer. Nel gennaio 2021 c'è l'assalto al Congresso, un'immagine simbolo, non è ancora chiaro di che cosa. Giugno 2022: davanti alla casa del giudice supremo Brett Kavanaugh viene arrestato un uomo armato. Ottobre 2022: Paul Pelosi, marito della speaker Nancy, è aggredito a martellate a casa sua. Alla fine del 2024 c'è l'assassinio di Brian Thompson, dirigente di UnitedHealthcare, non solo politica, quindi. Il luglio 2024 lo abbiamo ancora negli occhi: Trump sopravvive a un attentato durante un comizio in Pennsylvania, sfiorato da un proiettile alla testa. Nel maggio 2025 c'è un altro tentato omicidio contro di lui, questa volta in un campo da golf in Florida: l'attentatore viene ucciso. Aprile 2025: incendiata la residenza del governatore della Pennsylvania, Josh Shapiro. Maggio 2025: due dipendenti dell'ambasciata israeliana sono uccisi a Washington. Giugno 2025: la speaker emerita del Minnesota, Melissa Hortman, viene assassinata insieme al marito e, nello stesso attacco, resta ferito un senatore con la moglie. Quest'estate la Capitol Police ha registrato 9.625 denunce per minacce contro deputati, senatori, staff e famiglie: il doppio rispetto alla fine del decennio scorso; le statistiche federali confermano che le minacce ai giudici, dal 2019 al 2023, sono più che raddoppiate: anche la magistratura è ormai un bersaglio a tutti gli effetti. E questo mese, infine, prima dell'assassinio di Kirk, c'è stato l'arresto di un uomo che nel Minnesota aveva aver diffuso il manifesto "Come uccidere un giudice federale" con elenchi e metodi a pronto uso.
Questo è lo stato della democrazia nella culla della democrazia, la stessa che ha saputo resistere a guerre, crisi economiche e scandali d'ogni genere, ma che, ora, pare minacciata non da un nemico esterno, ma dal proprio principio fondativo: una libertà illimitata che diviene
licenza di odio, un diritto alle armi che diventa banale possibilità di usarle. La vera domanda non riguarda Donald Trump, che è di passaggio, al pari di ogni uomo: riguarda una democrazia e la sua possibilità resistere a se stessa.