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"Noi istriani sbranati dai lupi". La guerra di Piero e il ricordo

Sette familiari uccisi, fra cui il padre sparito nel nulla. Esce il libro di Tarticchio, testimone degli orrori titini

"Noi istriani sbranati dai lupi". La guerra di Piero e il ricordo

«Papà mi guardò e i suoi occhi si fusero coi miei». Il ricordo di quello sguardo eterno, Piero Tarticchio lo custodisce scolpito nella mente. Era la notte fra il 4 e il 5 maggio 1945, l'ultima volta in cui vide suo padre, la notte in cui fu portato via dalla polizia politica di Tito. Tre uomini armati e uno sgherro in borghese avevano fatto irruzione in casa per portarlo via coi polsi legati dal fil di ferro: «Vivessi mille anni non lo scorderò mai».

Piero Tarticchio oggi racconta compiutamente in un libro in uscita per «Mursia», Sono scesi i lupi dai monti, la sua vita di testimone degli orrori titini. Una storia simbolo, nella tragedia di quegli italiani: giuliani, istriani e dalmati. «Una pagina per troppo tempo strappata nel libro della nostra storia» ha detto il presidente Sergio Mattarella alla vigilia del Giorno del ricordo 2019.

Solo la famiglia di Piero conta sette infoibati. Fra questi don Angelo Tarticchio, parroco a Villa di Rovigno, entroterra istriano. Il 16 settembre 1943 era stato prelevato dalla canonica da un manipolo di partigiani comunisti titini e portato in una cava di bauxite. Fu torturato orrendamente e gettato ancora vivo nel baratro. I pompieri di Pola lo recuperarono: «Don Angelo era nudo, il corpo martoriato, i genitali tagliati e conficcati in gola. Sulla testa portava ancora una corona di filo di ferro». Un martire cristiano.

Piero rammenta il funerale, un grande catafalco nero e sopra la bara di don Angelo. Teneva la mano al papà, senza sapere che meno di due anni dopo sarebbe toccato a lui. Il Primo maggio 1945 le truppe di Tito avevano occupato anche Gallesano, a una manciata di chilometri da Pola, nella bassa Istria, allora Italia. Due giorni dopo, un funzionario del comitato popolare si era presentato in bottega sequestrando tutto, anche la licenza. Lodovico Tarticchio era solo un commerciante, non aveva mai messo la camicia nera. Aveva solo una colpa: essere italiano. Piero, 8 anni, fu svegliato alle 2 di notte terrorizzato dai colpi sul portone. Gli sgherri salirono dritti in camera e gli ordinarono di vestirsi e prepararsi a seguirli per un «interrogatorio». Lo portarono via, prima nelle carceri di Dignano poi chissà dove.

Tanti anni dopo, non si sa quale abisso lo abbia inghiottito. Un giorno la madre partì per cercarlo. Ma quella ricerca mise in pericolo anche lei. Allora scappò, senza niente, col bambino. Piero aveva uno zainetto con un carro armato di latta e il Libro della giungla, Lucia ci infilò le preghiere del marito, di cui ormai non c'era più notizia.

Può un uomo, «un uomo buono», sparire nel nulla, senza che se ne lasci traccia? Questa domanda che ha accompagnato Piero per tutta la vita. La risposta è «sì», è stato possibile, nell'Istria del 1945. E prima era toccato ad altri. Piero racconta di aver origliato dai discorsi in cucina, della tragica fine di una studentessa di 23 anni, figlia del podestà locale, sequestrata, stuprata e infoibata ancora viva: Norma Cossetto. E racconta del nonno, che aveva letto delle torture inflitte a Giuseppe Cernecca. «Sono scesi i lupi dai monti» aveva commentato amaramente il nonno.

Piero Tarticchio oggi è un uomo di 85 anni, eppure in lui c'è ancora quel bambino che smarrito guarda negli occhi il papà portato via col fil di ferro ai polsi: «Era come se mi dicesse: io sarò sempre con te». Ogni anno, nel giorno dei Defunti, Piero torna in Istria: «Non ho mai saputo in quale foiba via siano i suoi poveri resti, porto un fiore e dico una preghiera nella tomba più disadorna di un cimitero scelto a caso». Una vita intera è passata, una vita di testimonianza senza faziosità, anni di impegno per tener vivo il ricordo. Una battaglia ostinata contro l'oblio e i negazionismi. La memoria è la patria di Piero.

Lì riposa suo padre.

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