Cronache

"Non si è ravveduto", Vallanzasca resta in cella

Il Tribunale di sorveglianza non ritiene sufficiente il percorso riabilitativo del detenuto

"Non si è ravveduto", Vallanzasca resta in cella

Milano - Non si è ravveduto, quindi Renato Vallanzasca non merita di uscire dal carcere. Il Tribunale di sorveglianza di Milano ha respinto sia la richiesta di liberazione condizionale sia quella di semilibertà presentate dal difensore del criminale simbolo della mala anni Settanta e Ottanta.

Vallanzasca è stato condannato a quattro ergastoli e 296 anni di carcere. Ieri la nuova decisione dei giudici. Il collegio (presidente Corti, relatore Gambitta) ha dichiarato «inammissibile» l'istanza di semilibertà, cioè di uscire di giorno per svolgere un'attività e rientrare in carcere la sera. E ha rigettato l'ipotesi di liberazione dalla prigione con la condizionale, cioè di libertà vigilata. Nella richiesta il difensore del bel René, l'avvocato Davide Steccanella, aveva sottolineato i contenuti di una relazione degli esperti del penitenziario di Bollate, dove Vallanzasca è detenuto. Lì si spiegava che negli ultimi anni ha avuto un «cambiamento profondo», dal punto di vista «intellettuale ed emotivo» e che «non potrebbe progredire» continuando a stare in cella. Il legale ricordava inoltre che il suo assistito «sta per compiere 70 anni» e che «ha trascorso, seppur con qualche breve intervallo, l'intera propria esistenza in carcere». La sua detenzione è iniziata nel 1972, «con un intervallo complessivo di meno di un anno» fuori di prigione «per le due evasioni» e un totale di «mezzo secolo» dietro le sbarre. Per l'esattezza, 45 anni. «Ci troviamo di fronte - si legge nell'istanza - a un detenuto entrato in prigione appena dopo il compimento della maggiore età e che oggi uscirebbe da vecchio».

Nel 2014 a Vallanzasca era già stata revocata la semilibertà ottenuta alcuni anni prima a causa di un arresto e una condanna a dieci mesi per una rapina impropria in un supermercato, da dove aveva portato via merce di scarso valore come un paio di mutande. Per i giudici della Sorveglianza, tutto il suo percorso «è stato connotato da involuzioni trasgressive imputabili anche» alla sua «personalità». Non è «possibile ravvisare» in lui «il requisito del sicuro ravvedimento» previsto dalla legge per la liberazione condizionale. L'episodio del 2014 ne sarebbe una dimostrazione. Anche perché allora per difendersi costruì «un ragionamento di complotto». Inoltre non ha «mai risarcito le vittime dei suoi gravissimi reati», anche quando «lavorando ne aveva avuta la possibilità». Non solo: non ha mai «chiesto perdono o posto in essere condotte comunque indicative di una sua effettiva e totale presa di distanza dal vissuto criminale». Neppure la relazione di Bollate, si spiega, «riesce a individuare presupposti di ravvedimento» dell'ex boss della Comasina.

«Dispiace che un tentato furto di boxer di quattro anni fa abbia fatto ritenere ancora pericoloso un 70enne dopo mezzo secolo di carcere», sottolinea l'avvocato Steccanella.

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