Nella Corea del Nord chi sbaglia muore. Il dittatore Kim Jong-un ha passato per le armi o spedito ai lavori forzati i suoi stretti collaboratori considerati colpevoli del fallimento del summit di Hanoi con il presidente americano Donald Trump. La vittima eccellente e sacrificale è Kim Hyok-chol, che ha gestito i negoziati con l'inviato speciale Usa, Stephen Biegun. L'alto funzionario sarebbe stato fucilato in marzo all'aeroporto Mirim di Pyongyang, la capitale nordcoreana. L'insuccesso ha mandato davanti al plotone di esecuzione altri quattro diplomatici nord coreani. Kim era furioso per il fallimento dell'accordo sull'allentamento delle sanzioni in cambio dello smantellamento del programma nucleare di Pyongyang. L'agghiacciante notizia è stata rivelata da una fonte anonima al quotidiano sud coreano Chosun Ilbo, che fornisce numerosi dettagli della sanguinosa purga.
L'inconcludente summit di Hanoi si è tenuto in febbraio e il mese dopo il dittatore ha scatenato la vendetta. I funzionari fucilati sono stati accusati, come da copione, di spionaggio a favore degli Stati Uniti. L'inviato speciale Kim Hyok-chol sarebbe stato espressamente incolpato di «uno scarso resoconto dei negoziati senza avere colto in maniera appropriata le intenzioni di Washington».
Nel tritacarne del regime è finito anche Kim Yong-chol, per anni potente capo dello spionaggio militare e negli ultimi tempi responsabile dell'agenzia di intelligence che si occupa della Corea del Sud cruciale per il negoziato con gli Stati Uniti. Lo 007 di Kim, rimosso lo scorso mese, avrebbe evitato l'esecuzione, ma sarebbe stato condannato ai lavori forzati nella provincia settentrionale di Jagang. Il campanello d'allarme è suonato quando il suo nome non compariva nella delegazione della recente visita del dittatore nord coreano in Russia dove ha incontrato il presidente Vladimir Putin.
In un lager è finita anche Shin Hye-yong, l'interprete degli incontri a quattr'occhi fra Kim e Trump ad Hanoi. La poveretta è stata accusata di avere fatto un errore di traduzione. Sembra che non avesse riportato correttamente la nuova proposta del dittatore quando il presidente Usa ha lasciato il tavolo annunciando che non c'era «alcun accordo».
Una pericolosa retrocessione sarebbe toccata anche alla sorella del leader supremo, Kim Yo-jong, che era sempre stata al suo fianco nei viaggi all'estero dalla fine dell'escalation missilistica del 2017 fino al summit di Hanoi. Adesso è sparita e non compare neanche nelle foto ufficiali dell'Assemblea Suprema del Popolo (il Parlamento), che ha rieletto Kim Jong-un al vertice della Corea del Nord con un voto ovviamente bulgaro.
Il governo di Seul non conferma, ma neppure smentisce la purga limitandosi a dire che «stiamo monitorando la situazione». Anche il segretario di Stato americano, Mike Pompeo, ex capo della Cia ha ammesso che gli Usa stanno «cercando di verificare la notizia». Un altro segnale giunto da Pyongyang è il pesante editoriale pubblicato dal quotidiano di regime, Rodong Sinmun, che senza fare nomi ha parlato di «traditori e voltagabbana che non eviteranno il duro giudizio della rivoluzione». Parole molto simili alla purga del 2013 quando il giovane dittatore fece fuori lo zio Jang Song-Taek, dopo un processo sommario. Il parente voleva controllare Kim come un burattino, ma è stato sbranato dai cani.
Il despota ha ucciso pure il fratello, Jong Nam, che viveva in esilio a Macao, con una tossina all'aeroporto di Kuala Lampur.
Nel 2015 il leggendario ministro della Difesa e capo delle Forze armate, Hyon Yong-chol, è stato giustiziato a colpi di cannone. La leggenda narra che Kim, fra le tante vittime del suo regime, abbia ordinato pure l'esecuzione dell'architetto del nuovo aeroporto internazionale di Pyongyang. Al dittatore non piaceva il design.
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