Il nostro scoop che sfrattò D'Alema

L'allora segretario del Pds pagava 633mila lire al mese a Trastevere per un appartamento di 185 metri quadri. Ma vennero fuori altri "inquilini d'oro", da D'Antoni alla segretaria di Treu

Il nostro scoop che sfrattò D'Alema
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Il torpore di Ferragosto, poi il 17 il Giornale di Vittorio Feltri spara un titolo in prima pagina che farà epoca: “L’Inps regala le sue case. A chi?’

Quel punto di domanda, acuminato com un uncino, sarà la croce della classe politica in quella lunghe settimane e la delizia di migliaia e migliaia di lettori, alle prese con le sorprese quotidiane di una saga senza fine.

Estate 1995, sono passati esattamente trent’anni, ma la community del Giornale e gran parte del ceto politico ricorda ancora quella clamorosa battaglia nata dal nulla contro gli sprechi, le inefficienze, il clientelismo vischioso del Palazzo che divide gli italiani fra gli amici e gli altri.

Dove gli amici sono i figli, i parenti, i raccomandati di turno, cari a qualche big, o a qualche dirigente del potente apparato burocratico che dietro le quinte governa tante cose, compreso il traffico delle case più appetibili degli enti previdenziali.

Inps, Inail, Inpdap. In quei giorni vorticosi il Giornale porta a galla un mondo intero gestito senza trasparenza e con criteri a dir poco discutibili.

Il 18 agosto, giornata numero due, l’apertura di prima pagina è ancora più dirompente: ‘L’Inps non sa quante case ha” . Incredibile, ma vero, in un Paese che tollera qualunque spreco.

‘ L’elenco degli immobili di proprietà è largamente incompleto e non aggiornato. ‘ Di più: ‘ A Roma appartamenti di oltre cento metri quadri ai Parioli vengono affittai a neppure un terzo del valore di mercato’.

Nell’editoriale Vittorio Feltri graffia alla sua maniera: “ Gli enti previdenziali non sono capaci di far fruttare il loro cospicuo, direi ricchissimo patrimonio immobiliare acquistato con i soldi degli enti.

Nel senso - prosegue Feltri - che migliaia di palazzi per migliaia di miliardi rendono agli istituti proprietari la miseria del’1,25 per cento, cinque o sei volte meno di quanto renderebbero se fossero gestiti da privati anziché da boiardi acefali”.

In queste righe c’è già tutto lo scandalo che terrà banco per settimane, diventerà quasi un genere narrativo, appassionerà l’opinione pubblica, in bilico fra indignazione e speranza di cambiamento.

L’Italia dell’epoca è quella del governo Dini, il camaleonte chiamato da Scalfaro a traghettare il Paese dopo i colpi di Tangentopoli. La prima Repubblica è finita sott’acqua, la Seconda sta nascendo, ma il partito del privilegio è ancora estesissimo e trasversale agli schieramenti.

I cronisti del Giornale bussano forte, sempre più forte, a due indirizzi per avere i chiarimenti che nessuno sembra in grado di dare: i bersagli sono il ministro del Lavoro Tiziano Treu e il Presidente dell’Inps Gianni Billia, che oggi non c’è più.

In prima battuta, nell’afa di mezza estate, i due non rispondono

E il 19 agosto la prima pagina è un atto d’accusa , sempre sotto forma di punto di domanda: “ Chi li ha visti?’

I colpi di scena si susseguono. Il Palazzo, già preso d’assalto negli anni di Mani pulite, prova a resistere. Ma è questione di giorni, anzi di ore. La muta dei giornalisti romani del Giornale è ovunque: al citofono, al telefono, sui marciapiedi che contano. Fughe e inseguimenti. Foto spalmate che fanno effetto gogna ma fanno effetto.

Il 20 agosto, il titolone gronda soddisfazione: “Treu e Billia rientrano dalla latitanza’.

È l’inizio della grande virata che nessuno si sarebbe aspettato. Partono proclami battezzati nell’acqua più trasparente: “ Snideremo gli inquilini d’oro”. E poi Francesco Casaccia, che conduce le danze con molti altri colleghi fra cui Michele Lella, Maurizio Sgroi, Gianni Pennacchi e Gian Marco Chiocci, oggi direttore del Tg1, convince un’impiegata dell’Inps ad uscire allo scoperto. Maria Pia Mignucci ( ne parleremo nelle prossime puntate) conferma dall’interno quel che si intuisce da fuori.

Gli elenchi, finalmente reperibili, svelano nomi altisonanti.

Una manciata di giorni e salta fuori Massimo D’Alema, con 185 metri quadri in via Benedetto Masolino nel cuore di Trastevere. Il canone? È di 633 mila lire al mese. Cifre che si commentano da sole.

Ma altri vip hanno numeri altrettanto stupefacenti: il segretario della Cisl Sergio D’Antoni sfodera un attico di 219 metri quadri ai Parioli con tanto di colpevolissima vasca d’idromassaggio Jacuzzi. Non basta. Il Giornale bussa a casa di Ottaviano Del Turco che peró l’ha lasciata alla moglie. Un ex Presidente dell’Inps ha un nido di 175 metri quadri a 700 mila lire al mese, poi c’è la segretaria di Treu e il giornalista del Tg3 Onofrio Pirrotta che però puntualizza sicuro: “ Ho avuto la casa nel 73, dopo regolare domanda”.

Ancora, spuntano il senatore a vita Paolo Emilio Taviani, l’ex deputato socialista Francesco Colucci, l’ex ministro del lavoro Francesco Foschi.

“ Diciamo che il Giornale fece irruzione in modo rude - ricorda oggi Treu - c’era un po’ un clima di caccia alle streghe, peró è vero che in quel mondo regnava il clientelismo. Magari tutto era cominciato per premiare qualche dipendente fedele che aveva servito questo o quell’ente per decenni, ma poi quando prendi la scorciatoia non ti fermi più. Dal dipendente passi al potente, in una girandola di nomi. Io fra l’altro ero ministro da pochi mesi e non conoscevo quella realtà che il Giornale ha scoperchiato”.

Una giungla in cui si trova di tutto. Gli articoli su D’Alema si susseguono giorno per giorno, goccia dopo goccia, intanto il 1 settembre si scopre che l’ex ministro Riccardo Misasi avrebbe addirittura 4 case d’oro.

Ormai Affittopoli è un fenomeno nazionale, entrato nel vocabolario e iniettato nel sangue degli italiani che chiedono giustizia e vogliono lo scalpo dei potenti.

Milano, Messina, Portofino: non c’è solo Roma e non ci sono solo i Parioli o Trastevere. Ogni città può raccontare il suo pezzo di malcostume: i cittadini qualunque in fila magari per una vita pur avere un ‘buco’ in qualche periferia triste, i notabili dentro regge sontuose con viste da urlo.

Perfino la Washington Post tributa elogi a Feltri & compagni: la storia degli inquilini eccellenti ha fatto il giro del mondo. Il 6 settembre l’apertura del quotidiano di via Negri segna un punto d’arrivo: ‘il Giornale ha sfrattato D’Alema’. Il segretario del Pds capitola e annuncia che traslocherà altrove.

Intanto Walter Veltroni chiede addirittura che gli aumentino il canone.

Così, fino alla fine dell’estate, il Giornale terremota il Palazzo, calamita le conversazioni sotto l’ombrellone, e pur fra strattoni e gomitate fa fare un passo in avanti alla coscienza civile del paese.


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