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Dal declino populista alla vittoria di Giorgia Meloni: così sono cambiati i "sovranisti"

Sono passati circa cinque anni dall'elezione di Donald Trump e dal referendum sulla Brexit. Dal "populismo" di allora è nato qualcosa di diverso e di più "maturo"

Dal declino populista alla vittoria di Giorgia Meloni: così sono cambiati i "sovranisti"

Se il 2016 è stato l'anno dell'esplosione del "sovranismo" a livello internazionale grazie all'elezione di Donald Trump e al referendum sulla Brexit, il 2022 sarà ricordato come l'anno in cui si riafferma una nuova ondata "sovranista" rappresentata dalla vittoria del centro-destra e dall'exploit di Giorgia Meloni, in Italia, e da quella dei Democratici Svedesi nel Paese scandinavo. Come ha scritto nei giorni scorsi il Financial Times, venti minuti dopo la mezzanotte del 24 giugno 2016, al Silksworth Tennis Center di Sunderland, in Inghilterra, il populismo occidentale faceva la sua irruzione. L'annuncio che il 69% degli abitanti della città inglese aveva votato per la Brexit ha chiarito a tutti che la Gran Bretagna avrebbe lasciato l'Ue. La fase di picco del populismo occidentale si è protratta fino al 2019 con le vittorie di Donald Trump, Jair Bolsonaro e Boris Johnson e l'ingresso del Movimento Cinque Stelle e della Lega nel governo italiano.

L'evoluzione del "sovranismo"

Pochi anni dopo, il sovranismo sembrava finito. Donald Trump ha perso le elezioni contro Joe Biden, Boris Johnson è durato meno di un mandato come primo ministro nonostante la sua larga maggioranza di 80 seggi, mentre Bolsonaro probabilmente perderà contro Lula il mese prossimo e il governo di Lega e cinque stelle si è chiuso prima del tempo al Papeete. I cosiddetti "populisti" e "sovranisti" non sono riusciti a sopravvivere alle loro contraddizioni interne e al Covid, ma Giorgia Meloni ha fatto tesoro di questi errori, mettendo in campo qualcosa di diverso rispetto al recente passato e ai sgangherati eccessi del "sovranismo" prima fase.

Quello di Trump era infatti un nazionalismo libertario che strizzava l'occhio alla tradizione isolazionista americana, allo scetticismo verso il multilateralismo e gli organismi internazionali; che ambiva, senza riuscire nell'intento, a migliorare i rapporti con la Federazione russa di Vladimir Putin. Senza contare il rifiuto di Trump a ogni consuetudine e rituale della politica tradizionale e della diplomazia, elemento che complicava non poco i rapporti dell'ex presidente Usa con l'establishment euroatlantico. Quello di Meloni, Berlusconi e Salvini è e sarà un centro-destra del tutto diverso: un polo liberal-conservatore europeo e atlantista, dal forte imprinting governista.

Come osserva il Financial Times, infatti, i nuovi populisti si preoccupano di gestire le cose, di governare, e non solo di fare rumore e apparire e vincere le elezioni. Meloni, secondo Catherine Fieschi, autrice di Populocracy, "è effettivamente competente. Non è del tutto presa dalla vanità". La leader di Fratelli d'Italia, secondo Fieschi, ha abbandonato le vecchie fantasie populiste italiane di lasciare l'Euro. E mentre Trump e Johnson si sono continuamente lamentati del "deep state", Fieschi si aspetta che Meloni "lavorerà con altri partiti e burocrati" italiani per portare a termine il suo programma. Con grande pragmatismo.

Il "conservatorismo nazionale"

Il vecchio populismo - né di destra né di sinistra - non esiste più ed è stato sostituito dal "conservatorismo nazionale". Come nota il Ft, infatti, la tendenza dominante del populismo ora si chiama "conservatorismo nazionale". Il suo filosofo di riferimento, il professore israeliano Yoram Hazony, ha appena organizzato la National Conservatism Conference a Miami, mentre dal 30 settembre a Roma si terrà la conferenza "Italian Conservatism. Europe, Identity, Freedom" organizzata da Nazione Futura, Fondazione Tatarella e "The European Conservative" con la partecipazione di alcune delle più importanti personalità del mondo conservatore italiano ed europeo. È questa, dunque, la grande differenza fra i populisti di ieri e quelli di oggi, che non possono più essere definiti tali: hanno alle spalle un solido background ideologico-culturale che affonda le sue radici nel conservatorismo nazionale e nel liberalismo tradizionale.

La sinistra dovrebbe dunque smetterla con l'isteria antifascista: Giorgia Meloni assomiglierà molto di più a Margaret Tatcher che non a Benito Mussolini.

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