Il nuovo schema della pace. Fuori la Turchia

Turchia e Qatar, potenti giocatori che Trump vuole dentro, non possono che essere contenuti, e Israele dovrà impegnarsi sperando che anche Trump capisca il rischio di averli come partner

Il nuovo schema della pace. Fuori la Turchia
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L'importante è dimenticare i vecchi criteri, cambiare discussione: basta con gli Usa che "fanno gli interessi di Israele" o quelli per cui "Netanyahu è agli ordini di Trump". Devono cambiare canale. La logica è diversa: una simpatia reciproca e una genuina convergenza di interessi che hanno come titolo "pace" disegnano una strategia troppo lunga e complessa per essere compresa subito. Ci vuole pazienza. Ieri per esempio si è diffusa l'idea che Israele abbia dovuto chiedere agli Usa il permesso di eliminare il terrorista della Jihad Islamica pronto ad attaccare i soldati dentro Gaza: non è vero, è un evidente interesse comune, anche se ne discute il Centcom.

La cornice è massiccia: sono 24 gli stati interessati a chiudere con Gaza e cominciare una strada nuova. Solo alcuni sono amici di Israele, che però ha deciso che va bene così: il grande nemico è il terrorismo jihadista, gli Usa ci sono, l'obiettivo è un nuovo mondo in cui i Patti di Abramo comprendano l'Arabia Saudita e molti altri amici, alcuni nuovi come l'Indonesia. Sui nemici interni, cautela e chiarezza: così si capisce la pazienza di Netanyahu, ieri, nel consentire all'Egitto di guidare le ricerche dei corpi dei rapiti che devono tornare a una sepoltura onorevole dentro Gaza. La Striscia è la chiave dell'accordo, l'Egitto è l'antidoto alla Turchia perché si possa passare finalmente alla seconda fase, quella in cui si disarma Hamas e lo si spinge fuori. Trump fa il suo ruolo: di nuovo ha insistito e minacciato sulla indispensabile restituzione a Netanyahu dei corpi dei suoi concittadini. Fa parte della sua personale cultura? Certamente no. Della cultura americana? Nemmeno. È rispetto per Israele che impone in prima fase la restituzione di tutti gli ostaggi, vivi o morti. Dunque, Trump avverte che la sua risposta a Hamas su un ritardo sarà durissimo; e allora Abu Marzuk risponde con la voce più melensa che conosce, ed eccolo dentro la "linea gialla" insieme agli egiziani e persino alla Croce Rossa a cercare almeno alcuni dei corpi che finora non si sono voluti trovare. E Netanyahu consente questo gioco difficile e sensato.

Si dice che tornerà persino il povero corpo di Hadar Goldin, un soldato di 23 anni da 11 anni nella mani dei boia, che sparì a seguito di un agguato uscito da una galleria; la sua povera mamma combatte in una guerra straziante di amore e pena. L'Egitto si guadagna le stellette di prossimo capo della cosiddetta "forza di stabilizzazione" che coordinata dagli Usa e presieduta da Tony Blair deve poi procedere alla seconda fase e iniziare il gigantesco processo di ricostruzione della Striscia, che soprattutto i Paesi Arabi moderati vogliono intraprendere solo quando Hamas sarà espulso. Non sarà una forza di pace Onu, che non piace né agli Usa né a Israele; darà solo il patrocinio. Hamas è diventata uno straccio sopravvissuto che guadagna tempo attaccato ai corpi dei rapiti come un mollusco alla roccia.

Della politica israelo-americana risente al momento, e non poco, la Turchia: presente con tre diverse organizzazioni dentro Gaza, Erdogan punta ad Al Aqsa in nome della Fratellanza Musulmana; non esita a distribuire per tutta Gaza bandiere turche per affermare la forza della Fratellanza, ovvero di Hamas stesso. Ed è logico, dato il suo odio per Israele. Turchia e Qatar, potenti giocatori che Trump vuole dentro, non possono che essere contenuti, e Israele dovrà impegnarsi sperando che anche Trump capisca il rischio di averli come partner.

Intanto i sauditi invitano una delegazione israeliana a casa loro, lo stato palestinese è nebbioso, avanza il tema della deradicalizzazione.

I punti sono scritti: tutti i rapiti, via le armi, fuori Hamas, rispetto della linea gialla, sicurezza nella mani di Israele se attaccato, deradicalizzazione. Giocano a rischio l'immensa ambizione di Trump e l'incrollabile roccioso patriottismo di Netanyahu nella grande inusitata coalizione che muove i primi passi.

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