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La via obbligata verso la Francia

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La via obbligata verso la Francia

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Poniamoci subito un interrogativo scomodo. Siamo sicuri che, quel che accadde nell'autunno 2011, raccontato dal libro di memorie di Nicolas Sarkozy, non potrebbe succedere ancora? Cioè che il presidente francese e il cancelliere tedesco non domandino più a un premier italiano di lasciare? La formula, usata dall'ex presidente francese, «chiedemmo a Berlusconi di dimettersi», è infatti diplomatica; è molto probabile che Francia e Germania imposero al Cavaliere di rimettere l'incarico. Naturalmente, essi si permisero una tale forzatura, perché sapevano che la maggioranza era stata pesantemente falcidiata dall'azione del presidente della Camera, Gianfranco Fini. E perché la zona euro era sull'orlo del collasso. Si tratta, quindi, di un fatto assai grave, ma la cui eccezionalità farebbe pensare che non possa mai più accadere. E invece, su questo, non saremmo del tutto certi. Per una serie di ragioni. La prima, per come si è costituita storicamente l'Europa: in essa l'Italia, nonostante la sua importanza e il suo essere tra i fondatori nel 1957, riveste un ruolo di secondo piano. Giocano fattori storici: abbiamo perso la seconda guerra mondiale, come la Germania, certo, che però ha saputo costruire un sistema paese coeso e inattaccabile, sul piano dei fondamentali economici e finanziari: l'Italia invece, dopo la breve parentesi degli anni Cinquanta e Sessanta, è riprecipitata nella maledizione storica del debito pubblico e della eterna conflittualità interna. La seconda, per fattori geopolitici: Germania e Francia costituiscono spazialmente il centro dell'Europa, quello che confina idealmente da un lato con il blocco atlantico inglese e poi anglo americano e ad est con quello eurasiatico, costituito da Russia e, nel XX secolo, Cina. L'Italia insomma, già nell'Ottocento, nonostante i sogni e, a volte, i deliri di grandezza imperiali della classe politica post risorgimentale, è sempre rimasta una media potenza. Tutto questo per dire che la storia, la geografia e l'economia, ci rendono un attore debole all'interno della Ue, e soprattutto »continuamente attaccabile per via dell'abnorme debito pubblico. Un attore che, per forza di cose, ha dovuto aggiornare nella Ue la pratica dei cosiddetti giri di valzer della diplomazia dei primi decenni post unitari: a volte ballando con la Germania, a volte con la Francia. Quando prevale l'asse franco-tedesco, come si vide nell'autunno 2011, per noi sono dolori. Ora, di fronte alla nuova versione del «patto di stabilità», l'unica possibilità che il nostro paese ha di non essere stritolato, è quello di ballare questo giro con la Francia di Macron. È questo il senso del Patto dell'Eliseo, voluto dal presidente della Repubblica e da Mario Draghi, proprio perché consci che solo uno stretto rapporto con Parigi consentirebbe all'Italia di non finire nelle maglie dell'austerità tedesca.

La Francia non ha ovviamente i nostri stessi problemi, non cade sulle sue spalle lo stesso nostro debito pubblico ma, per citare il primo ministro di Sarkozy, Fillon, è pure «uno Stato in fallimento», come egli ammise candidamente da Matignon proprio nel novembre 2011. E più volte l'attuale ministro della Economia, Le Maire, anch'egli ex uomo di Sarko, ha mosso critiche al nuovo patto di stabilità sub specie tedesca e nordica.

Insomma, questa è una porta stretta, ma l'unica da cui però passare.

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