Le Ong esultano per una sentenza della Corte Ue (senza leggerla)

Secondo i talebani del mare la decisione vieta ispezioni e controlli. In realtà non è così. Ma adesso per le navi trattenute bisogna fare i conti con le minacce di denunce e indennizzi

Le Ong esultano per una sentenza della Corte Ue (senza leggerla)

Le Ong del mare cantano vittoria per una sentenza della Corte di giustizia europea, che secondo loro affosserebbe le ispezioni ed i fermi della Guardia costiera. In realtà leggendo con attenzione le 36 pagine i giudici Ue sanciscono dei punti fissi, primo fra tutti che le ispezioni sono legittime e le Capitanerie possono intervenire, come fanno con tutte le navi, se riscontrano gravi deficienze di sicurezza e ambientali. L'intero impianto, però, pende dalla parte dei talebani dell'accoglienza. L'aspetto più grave è che la sentenza stabilisce, di fatto, che non sono necessarie per le navi delle Ong le certificazioni al soccorso. Uno dei nodi cruciali relativo alla stato di bandiera e alla classificazioni delle unità, spesso di trasporto o commerciali.

L'intricata vicenda ha origine nell'estate del 2020, quando Sea watch 3 e Sea watch 4, le navi dei talebani dell'accoglienza tedeschi, vengono ispezionate e fermate a Palermo e Porto Empedocle non solo per la mancata abilitazione al soccorso in mare, ma per una lunga lista di carenze in tema di sicurezza e ambientale. Gli avvocati della Ong oltranzista si sono rivolti al tribunale regionale ed il Tar ha chiesto chiarimenti alla Corte europea.

La sentenza di ieri avalla il recupero e sbarco senza regole dei migranti in nome del supremo dovere umanitario. Non solo: «Le persone che si trovano a bordo di una nave per causa di forza maggiore - si legge - o in conseguenza dell'obbligo imposto al comandante di trasportare naufraghi, o altre persone, non devono essere computate» per quanto riguarda la sicurezza anche se risultano in numero ben più elevato di quello autorizzato. In pratica i talebani dell'accoglienza possono imbarcare quanti migranti vogliono e ovviamente portarli in Italia.

Almeno la Corte sancisce che lo Stato di approdo, «può sottoporre a un'ispezione supplementare le navi che esercitano un'attività sistematica di ricerca e soccorso e che si trovano in uno dei suoi porti o in acque soggette alla sua giurisdizione». Però devono prima completare «tutte le operazioni di trasbordo o di sbarco delle persone alle quali i rispettivi comandanti hanno deciso di prestare soccorso». E le ispezioni sono sottoposte a delle Forche Caudine ovvero possono avvenire solo «in base di elementi giuridici e fattuali circostanziati, che esistevano indizi seri tali da dimostrare un pericolo per la salute, la sicurezza, le condizioni di lavoro a bordo o l'ambiente». Le Capitanerie già lo fanno ma la decisione dei giudici comunitari renderà ancora più arduo e delicato un fermo amministrativo.

Purtroppo l'Italia «non può imporre che venga provato che tali navi dispongono di certificati diversi da quelli rilasciati dallo Stato di bandiera o che esse rispettano tutte le prescrizioni applicabili a una diversa classificazione». In pratica anche se la nave è nata per fare altro, come un rimorchiatore d'alto mare, può recuperare i migranti e portarli a casa nostra.

Le Ong suonano la carica di facciata. In realtà puntavano a bollare come illegittime le ispezioni. «Per mesi - ricordano i talebani dell'accoglienza tedeschi - Sea Watch 3 e Sea Watch 4 sono state trattenute per controlli dello Stato di approdo con motivazioni assurde: certificazioni mancanti e troppe persone soccorse. Nella sentenza, la Corte di Giustizia Ue ha dichiarato che il salvataggio in mare è un dovere e i controlli dello Stato di approdo non devono essere usati in modo arbitrario per trattenere le navi e impedire loro di svolgere il proprio lavoro».

Fulvio Vassallo Paleologo, esperto dei diritti umani all'Università di Palermo, è convinto che «andranno risarciti tutti i danni per l'ingiustificato fermo amministrativo, protratto anche per mesi, ai danni delle navi delle Ong».

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