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Perché la Meloni non vuole Draghi

Il dilemma della coerenza. Le ragioni di un ostracismo vengono da lontano e sono radicate nei principi cardine di Fdi

Perché la Meloni non vuole Draghi

La tentazione è lontana quanto la reale possibilità che il centrodestra resti unito. Almeno stando così le cose. Ma difficile che Giorgia Meloni, che ha sempre sventolato la coerenza quale migliore delle sue virtù, possa cambiare idea su Mario Draghi. Il consenso è il prezzo da pagare. Rimanere ancorati al proprio elettorato, alle principali istanze vessillo del partito costruito dall'unica leader donna di destra e che viaggia a vele spiegate sospinto dal vento dei sondaggi. 18%: la rilevazione più alta. Una cifra pazzesca, forgiata sulla difesa dell'identità, della nazione, della bandiera, del made in Italy, della sovranità. Idee e valori che spesso hanno fatto a botte con l'Unione Europea, burocrate maligna. E che fare ora che il prossimo premier potrebbe essere uno dei principali rappresentanti di quell'Europa? Un dilemma che al momento la Meloni non vive. Di sicuro in apparenza. A barra dritta contro l'ex presidente della Bce. L'ostracismo nei suoi confronti viene da lontano ed è rimasto pressoché sempre costante. L'unico punto di incontro si è registrato nell'ottobre del 2011, quando la Meloni era ministro della Gioventù nel governo Berlusconi e quando Draghi, ancora governatore della Banca d'Italia, parlò dei giovani come volano per il nostro paese. "Draghi mette l'accento sul grande rischio che stiamo correndo: quello di bruciare la capacità di sviluppo e innovazione delle nuove generazioni. Sono convinta anch'io che l'uscita dalla crisi dipenda dalla capacità della nostra società di abbattere le barriere che oggi impediscono ai nostri giovani di emergere e farsi traino della crescita economica. In questa direzione abbiamo lavorato sin dall'inizio della legislatura, anche in questi momenti di rigore".

Passa il tempo e l'avversità inizia a emergere in maniera preponderante. Nel 2015, la Meloni lancia addirittura il guanto di sfida al banchiere nell'ipotesi di partecipazione alle primarie del centrodestra: "Non credo sia suo interesse, ma se vuole scendere in campo spinto da Berlusconi ci confronteremo sui contenuti. Lui difenderà l'Europa dei grandi capitali e delle banche, noi l'Italia delle partite IVA, degli artigiani, dei professionisti e di tutti coloro che pur meritando di volare restano schiacciati al suolo dall'arroganza del potere finanziario ben rappresentato da Draghi". Il solco tra i due è netto. L'élite da un lato, il popolo dall'altro.

L'anno successivo il leader di Fdi scuote il suo di popolo con un post al vetriolo su Facebook contro il figlio dell'economista: "Volevate un altro motivo per dire basta all'Euro dei banchieri, usurai e lobbisti? Eccolo: Giacomo Draghi - il figlio di Mario Draghi presidente della BCE che decide la politica monetaria dell'eurozona - lavora per la banca d'affari Morgan Stanley e specula sui Bond e sull'andamento dei tassi. Cioè specula e guadagna in base alle decisioni prese dal padre. Mario Draghi ha detto che non c'è niente di strano. Ma veramente questa gente ci prende tutti per scemi? L'Europa vive una crisi profonda, cresce la povertà, cresce la disoccupazione, ma per i tecnocrati e gli affaristi le cose vanno sempre alla grande. Riprendiamoci la nostra sovranità e la nostra libertà, prima che queste sanguisuga ci tolgano l'ultima goccia di sangue".

La narrazione è sempre la stessa così come il nemico: assurgere a difensori del paese dalle ingerenze esterne. È qui che si radica la coerenza del leader di Fdi. Che, nel 2017 invitava ancora una volta Berlusconi a lasciar stare Draghi apostrofando quest'ultimo come "fumo negli occhi per gli elettori italiani" e come "uno tra quelli che hanno messo in ginocchio questa nazione". Per queste ragioni non stupisce nemmeno l'ostracismo nei confronti dell'ipotesi di Draghi presidente della Repubblica entrata nel dibattito politico nella fine del 2019. Ipotesi rigettata in maniera netta: "Non lo candiderei alla Presidenza della Repubblica. La nostra battaglia è l'elezione diretta del Presidente della Repubblica. Io non lo candiderei, se qualcuno altro lo fa..... Ma io trovo scandaloso se una minoranza nel Paese avesse la presunzione di eleggere il presidente della Repubblica. Ieri ho sentito dire che vogliono un Capo di Stato europeista e che salvi l'Europa. Io voglio un Capo dello Stato che salvi l'Italia". E ancora: "Per noi il prossimo Presidente della Repubblica deve avere alle spalle una storia di difesa dell'economia reale e dei nostri interessi nazionali, non provenire dal mondo della grande finanza internazionale".

Ironia della sorte, ora che Draghi è stato chiamato come premier per salvare l'Italia. Ma non è solo il nome a far venire l'orticaria alla Meloni ma anche l'idea di una maggioranza posticcia e raffazzonata. Lo ha spiegato bene l'ex presidente di Azione Giovani nel marzo 2020: "Le parole di Draghi sono necessarie in un momento in cui l'Ue rischia di dissolversi. L'Ue deve decidere se esistere, l'inizio non è stato confortante, abbiamo visto alcune nazioni, segnatamente la Germania, che hanno pensato che il Coronavirus fosse una opportunità per raggiungere certi obiettivi, come l'austerità o il saccheggio di asset strategici di Paesi in difficoltà. Draghi ha dato un messaggio a questi Paesi. Ma non è un tema Draghi sì, Draghi no. Noi dobbiamo distinguere: abbiamo una emergenza sanitaria e la ricostruzione economica. L'emergenza sanitaria durerà settimane e ha bisogno di una fase con forze che sappiano dare una mano. Non so se qualcuno ritiene che in questa fase si possa cambiare il governo. Questo richiede dei tempi. Ciò non significa che io consideri Conte adeguato per questa stagione, non ho mai votato la fiducia, e sono convinta che questo non è il massimo. La ricostruzione avrà bisogno di qualche anno, non è questione di una manovra da fare a dicembre. Ora credo che quando sarà finita l'emergenza, immaginare che la ricostruzione si possa fare con un Parlamento in cui uno su tre è di M5s non mi vedrebbe ottimista. Per la ricostruzione non serve una melassa in cui si sta tutti insieme; dopo l'emergenza ricomincia la normale dialettica in cui serve una visione. Sarebbe più efficace un governo forte, con un forte mandato popolare, una visione chiara con 5 anni per fare le cose. Questo è il modo migliore di ricostruire mentre mettere insieme tutto e il contrario di tutto, otterrebbe gli stessi risultati di quelli che ci hanno provato, purtroppo non con ottimi risultati".

Un'altra critica è arrivata nell'agosto di quest'anno a seguito della partecipazione di Draghi al Meeting di Rimini: "Da Mario Draghi solite dosi eccessive di europeismo acritico e un passaggio inquietante su un futuro ministero del Tesoro europeo che priverebbe governi e parlamenti nazionali della loro sovranità . Ma nel suo discorso c'è un passaggio che condivido molto e che da sempre Fratelli d'Italia ha messo al centro delle sue proposte economiche. Con l'esplosione della crisi è stato necessario fare molto debito pubblico e mai come ora occorre essere chiari: c'è un debito buono, quello che serve a creare sviluppo e realizzare infrastrutture materiali e digitali da lasciare in eredità alle future generazioni. E ce n'è uno cattivo, fatto di provvedimenti assistenziali, bonus e mancette varie. La scelta del governo Conte di preferire la seconda strada è una responsabilità molto grave".

Neanche tre mesi fa, poi, la Meloni è tornata a ribadire il suo niet per Draghi al Quirinale perché "il mio modello è uno dell'economia reale, non della finanza. Ma poi vedremo". Il resto è cronaca politica di questi giorni, con il leader di Fdi che propone l'astensione al governo Draghi come condizione per salvare l'unità del centrodestra e che puntualizza in modo tranchant: "Sarò chiara. Non c'è alcuna possibilità di una partecipazione o anche di un sostegno da parte di FdI al governo Draghi. Gli italiani hanno il diritto di votare. Continuiamo a lavorare per tenere il centrodestra unito e portare gli italiani alle elezioni. Fatevene una ragione". La coerenza, appunto. Indiscutibile.

Per giudicare la scelta della Meloni invece ci penserà la storia.

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