Perché le proteste no-vax funzionano solo sulle chat

I grandi gruppi di aggregazione social formati su Facebook e Telegram riuniscono persone incapaci di fare proprie delle idee confuse e fantasiose. Per questo, anziché scendere in piazza, preferiscono nascondersi dietro lo smartphone

Perché le proteste no-vax funzionano solo sulle chat

Il flop delle manifestazioni no-vax e no-green pass di ieri è ben più roboante delle minacce di mettere a ferro e fuoco ben 54 città italiane, bloccare stazioni e mezzi pubblici. Alla fine, come documentato dal Giornale.it, ad essere prese d'assalto sono state solo le chat Telegram. Già, l'app di messaggistica degli "alternativi", che da quando è esplosa la pandemia si sono riuniti sulla piattaforma fondata dal russo Pavel Durov poiché promette più libertà, più trasparenza, meno tracciamento. Di cose serie come di scemenze, però.

La circolazione di fake news, stramberie, documentari fasulli, fotomontaggi e interpretazioni discutibili della realtà è un cult di Telegram, ma non solo. Anche i social classici come Facebook fungono da cassa di risonanza per le teorie del complotto e per l'aggregazione di chi ha la presunzione di essere un "guerriero della verità". Uno che "non si fa fregare". Uno che vuole ribellarsi a quel "grande esperimento di massa" che è la campagna vaccinale e al "passaporto schiavitù" che sarebbe il green pass.

Ma infine? All'atto pratico questo sconfinato esercito virtuale si è sciolto come neve al sole appena preso contatto con la realtà, con pochi pretoriani scesi davvero in piazza e tutti gli altri spariti nel nulla. Perché succede? È una evoluzione telematica dell'effetto bandwagon, una considerazione sociologica che trae origine dalle grandi parate di piazza del mondo anglosassone e ai carri che sfilano (i bandwagon, appunto). Chiunque, alla vista del carro più bello vorrebbe salirci sopra per "smarcarsi" dalla folla e dal punto di vista più "piatto" per poter godere di un panorama migliore, più esclusivo e, soprattutto, comodo.

Questo bias cognitivo, però, parte sì dall'istinto di volersi distinguere ma, proprio perché molto allettante, finisce per generare un conformismo di ritorno per il quale tutti (o quantomeno molti) vorrebbero salire sullo stesso carrozzone. Nel mondo digitale, tuttavia, il carro più bello e appariscente non è quello più numeroso, bensì quello più rumoroso. Chi fa più chiasso e chi sbraita concetti più possibile lontani dalla realtà parte dal ghetto per essere via via appoggiato da un numero sempre superiore di sodali attratti dal rumore di sottofondo.

Ma, c'è un ma. Che questo fenomeno di sottoscrizione di tesi campate per aria scientificamente, difficili da sostenere giuridicamente e impossibili da approfondire accademicamente, vengono sposate con poca consapevolezza da un gruppo (seppur nutrito) di replicanti che si limitano a condividere, rilanciare, far girare idee che non riescono a far loro. La difficoltà, per questi megafoni umani, sarebbe proprio quella di dover esprimere verbalmente, argomentare di persona, concetti che nel profondo sanno essere quantomeno fantasiosi.

Così, di fronte alla

prova della realtà, si preferisce restare a casa, sottraendosi all'obbligo di dover traslare nel quotidiano qualcosa che funziona solo nel mondo virtuale quando, per combattere la noia, si diventa rivoluzionari da smartphone.

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