Petrolio in fiamme, frenano le Borse

Il Brent vola oltre i 74 dollari, gas a +5,5%. A rischio le infrastrutture strategiche

Petrolio in fiamme, frenano le Borse
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L'attacco di Israele all'Iran scuote l'energia con un'impennata di petrolio e gas per i timori di una guerra più ampia in una regione che rappresenta un terzo della produzione mondiale di greggio. Il Wti statunitense si è portato a 73,08 dollari al barile, con un rialzo del 7,44%, mentre il Brent è salito a 74,26 dollari al barile in aumento del 7,2 per cento. Questo movimento ha annullato tutte le perdite del petrolio da quando il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, aveva annunciato i suoi dazi reciproci a inizio aprile. Perdite causate anche dalla decisione dell'Opec+ di riattivare la capacità produttiva più rapidamente del previsto. Questa settimana Jp Morgan ha avvertito che, in uno scenario estremo in Medio Oriente, i prezzi potrebbero toccare i 130 dollari al barile.

Gli operatori hanno acceso i riflettori sulle catene di approvvigionamento e le forniture. La preoccupazione principale, infatti, è che l'escalation possa estendersi o innescare azioni di sabotaggio o rappresaglia su infrastrutture economiche critiche. L'Agenzia Internazionale per l'Energia potrebbe decidere di coordinare il rilascio delle scorte d'emergenza per calmierare i prezzi. Ma un allargamento del conflitto potrebbe, inoltre, mettere a rischio porti commerciali strategici come Bandar Abbas, che rappresenta uno dei più importanti punti di snodo per l'import-export iraniano e per la navigazione nello Stretto di Hormuz, da cui transita circa un quinto del petrolio mondiale trasportato via mare.

Gli esperti stanno già facendo le prime simulazioni: se venissero colpiti gli asset di trasporto e produzione iraniani, potrebbero essere a rischio fino a 1,7 milioni di barili al giorno, abbastanza da passare da un surplus a un deficit nella seconda metà dell'anno. Se si verificassero disagi allo Stretto di Hormuz, potrebbero essere a rischio fino a 14 milioni di barili al giorno, con i prezzi che potrebbero volare fino a 120 dollari. In caso di un conflitto prolungato, potremmo vedere nuovi record oltre la soglia di 150 dollari del 2008.

Di certo, qualsiasi blocco o attacco in quest'area causerebbe danni pesanti al commercio marittimo globale e ulteriori rincari nei costi di trasporto e delle materie prime, spiegano gli analisti. Tra gli obiettivi potenzialmente a rischio ci sono le infrastrutture petrolifere come le raffinerie di Abadan e Isfahan, oppure i terminal per l'esportazione di greggio situati a Jas e nell'isola di Karg, ma anche quelle del gas naturale come gli impianti strategici di South Pars (il più grande giacimento al mondo). Ieri sono infatti aumentate le quotazioni del gas sulla piazza di Amsterdam, con il future Dutch Ttf in rialzo del 5,5% a 38,29 euro per megawattora.

Contenuto, per il momento, l'impatto sulle Borse Ue dove ieri si sono registrati forti cali ma non crolli generalizzati: l'indice Ftse Mib ha lasciato sul terreno l'1,28%; Parigi l'1,04% e Francoforte l'1,14 per cento. In una sola seduta i principali listini di borsa del Vecchio Continente hanno comunque perso complessivamente 185 miliardi di euro di capitalizzazione.

Anche Wall Street ha avviato la giornata di contrattazioni in negativo (Dow Jones a -1%, S&P 500 a -0,72% e Nasdaq a -0,97%) mentre il presidente Trump esortava l'Iran a trovare un accordo prima di subire attacchi «ancora più brutali» e «prima che non ne rimanga nulla».

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