Meglio urlare al regime che pensare

Con la consueta ed educata mordacia ne ha scritto Vittorio Macioce. "In Italia la dittatura c'è, ma non si vede

 Meglio urlare al regime che pensare
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Fanno tenerezza i continui, costanti, martellanti appelli che gridano al regime, alla dittatura, al pericolo dell'estrema destra in Italia (e in Europa). Può non piacere chi è al governo, è chiaro. Figuriamoci a un liberale (non liberal, che è altra cosa). Ma a sentire uno dei tanti esponenti politici o culturali della sinistra, sembra di trovarsi nel bel mezzo di un ordine militare, un regime dei colonnelli, un totalitarismo in costruzione. L'immaginazione, però, può giocare brutti scherzi. Un'immaginazione, va detto, nutrita di compiuta razionalità: il proposito è di gridare al lupo per risvegliare le coscienze dei "buoni". Parola d'ordine: resistenza. Contro che cosa? Non si capisce molto bene. Con la consueta ed educata mordacia ne ha scritto Vittorio Macioce. "In Italia la dittatura c'è, ma non si vede. È un gioco di prestigio, un vuoto a perdere, una voce che qualcuno ha messo in giro, una giostra, un rito pubblico e civile, una processione. È metafisica. È il mito eterno della resistenza". Ecco. Con i dovuti distinguo, tutto ciò ricorda gli abbagli che la cultura di sinistra italiana (e non solo) ha preso nel Novecento per i "resistenti" del continente latino-americano: un sogno, ha scritto Mario Vargas Llosa, che si fa realtà. Ma in tal modo la realtà è completamente trasfigurata, capovolta così da vederci quello che si desidera. Regimi di piena libertà ed eguaglianza i populismi latino-americani? Così è, se vi pare.

Tornando a noi, l'ideologia resistenziale nasconde un preciso bias culturale: la democrazia sta bene solo se non vince la destra. Viceversa, come scrive Macioce, la dittatura c'è dove non vincono loro. Accipicchia. A mancare, dunque, è proprio l'abc della democrazia, che è, prima di tutto, rispetto costituzionalmente garantito dell'opinione altrui. Cioè rispetto del pluralismo. In un classico della teoria democratica del Novecento, Démocratie et totalitarisme (1965), assai discutibilmente tradotto qualche anno dopo col titolo Teoria dei regimi politici lo ripubblichiamo? Raymond Aron ricordava come la politica avesse a che fare necessariamente con un elemento di conflittualità. Essa è terreno di scontro fra visioni divergenti e contrastanti. Ma non può sussistere, in ogni caso, senza un elemento di intesa: in tal caso, si determinerebbe "una lotta senza collaborazione possibile, e la collettività cesserebbe di esistere".

L'intesa avviene in primo luogo sulla base del rispetto delle norme valide per tutti e senso del compromesso. Non a caso il pensatore francese parlava di regimi "costituzional-pluralisti" contrapposti ai regimi a partito unico e a ideologia totalizzante. La sinistra, o forse una certa sinistra, questo pare non averlo ancora capito.

Alla concorrenza tra idee, e non solo, continua a preferire il monopolio, che è uno degli elementi che contraddistinguono il totalitarismo. Fate voi. A proposito: Aron si definiva un "keynesiano con qualche rimpianto per il liberalismo". Non esattamente un pericoloso estremista.

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