Il pressing su Xi: "Fermi lo Zar"

Von der Leyen e Macron incontrano il leader cinese. Impegno per la "sovranità territoriale"

Il pressing su Xi: "Fermi lo Zar"
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Può risultare di difficile lettura, l'eccessiva cortesia con cui Macron ha omaggiato ieri il presidente cinese Xi Jinping a Parigi: le contestazioni non sono mancate per un incontro definito «amichevole» dall'Eliseo. Da sinistra, il Ps ha stigmatizzato la scelta di non riservare neppure una parola sul mancato rispetto dei diritti umani in Cina, né aver messo il tema in agenda: «Xi non è nostro amico, ha deportato il popolo uiguro, reprime i tibetani, minaccia i taiwanesi», attacca il capolista socialista Raphaël Glucksmann, in corsa per le europee.

Ma la ratio con cui l'Eliseo ha agito è invece piuttosto chiara: se devo chiedere un favore a un partner, che è al contempo un rivale sistemico dell'Ue, lo ricevo con tutti gli onori (la fanfara, perfino un saluto in cinese fatto dal premier Attal); mi apro ai ricordi d'infanzia (lo farà oggi nei Pirenei, Macron), e non vado a sfruculiare gli scenari interni alla Repubblica popolare, ben noti al mondo, cercando piuttosto di scongiurare l'innesco di un conflitto nucleare tra Mosca e l'occidente.

Lo ha capito perfino una battagliera Von der Leyen, che ieri, invitata dal presidente francese al tavolo trilaterale prima del faccia a faccia Macron-Xi, pur restando su posizioni critiche in merito alla concorrenza sleale di Pechino, ha spiegato che Unione europea e Francia contano sul fatto che la Cina «sfrutti tutta la sua influenza sulla Russia» per fermare la guerra in Ucraina, invitando il Nº1 cinese a compiere «maggiori sforzi» per limitare la consegna di equipaggiamenti duali alla Federazione; quelli cioè utilizzati sia per scopi civili sia militari, che continuano a finire sul campo di battaglia uccidendo soldati, donne e bambini ucraini.

Solo nel pomeriggio i due capi di Stato si sono visti a quattrocchi. E Macron, nelle dichiarazioni finali alla stampa (senza domande dai giornalisti, come chiesto da Pechino), dice d'aver ribadito al Dragone la richiesta di far pressioni sullo Zar (che sarà presto a Pechino), spiegando che Cina e Francia puntano «all'integrità territoriale di tutti i Paesi» lavorando insieme per una pace duratura «che rispetti il diritto internazionale». Non quello di Putin.

Giocandosi questa carta per attirare l'attenzione di Xi, che usa lo stesso ragionamento per rivendicare la morsa su Taiwan, Macron ha concluso che Francia e Cina possono svolgere un ruolo utile «al di là della relazione bilaterale». Desideriamo il ritorno della pace in Europa, taglia corto il presidente cinese, accusando senza citarli gli Stati Uniti: «Chi usa questa crisi per dar vita a un nuova guerra fredda». Chiede un cessate il fuoco pure per Gaza. «Non possiamo restare a braccia conserte». Ma non riesce a chiamare guerra quella di Putin, mai condannata dal regime comunista. Xi si asterrà dal vendere armi a Mosca. E accolto l'invito di Parigi a cooperare per una tregua olimpica per tutti i conflitti, sull'altro dossier, quello commerciale, difende le auto elettriche Made in China incassando ovazioni in patria davanti ai maxischermi dove sono state mostrate le tappe del viaggio in Francia a cui seguiranno Serbia e Ungheria.

È insomma un bilancio magro per il riassetto del mondo, per Macron, che prova a rifarsi difendendo il Made in France esplicitando il «desiderio» di non vedere l'applicazione delle misure provvisorie contro il cognac francese, oggetto di un'inchiesta antidumping in Cina.

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