
Great job Bibi, bel lavoro. Trump parla del primo partner nella sua grande utopia: un tempo di pace per tutto il mondo, qui, con Bibi, si svolge questa "cosa mai vista prima", e chiama Netanyahu nel cerchio dei grandi protagonisti della storia in un'apoteosi di comune entusiasmo, alla Knesset, per il ritorno degli ostaggi. "Senza di lui niente di tutto questo sarebbe potuto accadere. Non è la persona più facile con cui lavorare, ma questo lo rende grande". Questo momento è una delle tante immagini di vittoria che Netanyahu ha raccolto: il presidente americano che viene in Israele a compiere la sua prima visita, che mostra fraterna ammirazione, che fonde l'amicizia e la stima personale con un ragionamento molto chiaro, quello che fa sì che le alleanze si creino su interessi comuni specifici: sia Trump sia Netanyahu hanno gli stessi nemici, l'Iran che ha potuto costruire la coalizione terrorista che ha posto a ferro e fuoco Israele, e gli stessi amici, la pace.
Netanyahu "con le unghie e coi denti" prima, e poi col sostegno di Trump, ha condotto la guerra più lunga, dolorosa, orribile della storia contemporanea del popolo ebraico. La vicenda dei rapiti, 252 creature strappate alle loro famiglie durante il pogrom del 7 ottobre, persone tenute in stato di tortura per un tempo oltre l'immaginabile e ha acquisito per Trump lo stesso grande significato simbolico. Fondamentale per una pace mediorientale e del mondo. Peccato che l'Europa non l'abbia mai capito. La decisione dei due si è incentrata sull'obiettivo comune di osare il tutto per tutto: la determinazione di Netanyahu a farsi riconsegnare i rapiti tutti insieme anche a prezzo molto elevato, ad arrivarci con il valore aggiunto della scelta tanto discussa di attaccare militarmente Gaza City in modo da stringere Hamas in un angolo, si è fuso con l'atteggiamento di Trump che cerca il suo obiettivo senza accettare nessun ostacolo.
È difficile non vedere come Netanyahu insieme a Ron Dermer e all'ambasciatore Yehiel Leiter, che ha perduto un figlio in guerra, abbiano costruito un'ipotesi strategica che non cercava consensi mentre disegnava una svolta definitiva contando sull'interesse dell'Islam moderato. Bibi tirava diritto, prima con il rifiuto a Biden di farsi fermare sulla via di Rafah e dello Tzir Filadelfi, poi con la scelta difficilissima di colpire gli Hezbollah e eliminare Nasrallah, Houthi, Siria, sciiti in Irak. E soprattutto, il punto centrale del successo di Netnayahu è l'Iran: quando Trump ha visto come osava affrontarlo si è convinto dell'opportunità di portare davvero pace eliminando il maggiore impaccio al suo disegno di pace.
Netanyahu è stato accusato di tutto, le famiglie dei rapiti si sono mescolati alla grande opposizione e lo hanno addirittura accusato di non volere riportare a casa gli ostaggi per restare più a lungo al potere e evitare crisi alla sua coalizione. Il leader invece spendeva giorno e notte andando alla radice: chiedeva insieme alla restituzione anche la destituzione di Hamas e le sue armi. Ieri all'invito di Trump ad andare insieme a Sharm ha preferito la telefonata amichevole con al Sisi, lasciando perdere al momento le odiosità di Erdogan e la presenza di Abu Mazen. Punta al prossimo grande patto di Abramo. Mantenere adesso la pace dovrà per esempio rispondere al problema che Hamas non sta riconsegnando altro che 4 corpi invece di 28, che è ancora armata.
Per ora è successo: difficile che il presidente Herzog possa evitare una risposta alla richiesta di grazia per Netanyahu "champagne e sigari! Chi se ne importa", ha detto finalmente Trump.
Netanyahu ha il copyright delle meravigliose immagini del ritorno: Noah Argamani a sua volta salvata a suo tempo, oggi nelle braccia del suo amore Avinatan Or appena liberato: questa è la foto della vittoria di Netanyahu e del popolo ebraico. Zvica, il padre di Eitan Mor appena tornato, ha avuto il coraggio di dirlo: "Ringrazio Trump, ma soprattutto grazie al primo ministro". Quale migliore vittoria?