Il pusher scarcerato è tornato a spacciare (nella stessa via dove era finito in manette)

Il gambiano riarrestato dopo la sentenza favorevole: continuava a vendere droga

Il pusher scarcerato è tornato a spacciare (nella stessa via dove era finito in manette)

Milano - Molte le reazioni di sdegno alla vicenda che abbiamo raccontato ieri su queste pagine. Quella del ghanese 31enne Buba C., arrestato più volte in flagranza per spaccio di stupefacenti in strada dalla polizia alla periferia nord di Milano, in via dei Transiti (l'ultima il 26 giugno, mentre tre giorni prima era stato denunciato per lo stesso reato, ndr) e rilasciato il 18 luglio dal Tribunale del Riesame che ha giustificato la sua attività fuorilegge per il fatto che l'uomo «(...) non ha alcun provento derivante da attività lavorativa e lo spaccio appare l'unico modo per mantenersi». Proprio ieri però abbiamo saputo qualcosa che aggiunge all'indignazione un sapore se possibile ancora più amore. Il Riesame, pur scarcerando il ghanese, nelle proprie motivazioni prevedeva per lui «pericolo di reiterazione di analoghi reati» e quindi gli imponeva il divieto di dimora a Milano, città dove aveva commesso i suoi crimini. Buba C., dal canto suo, ha fatto del suo meglio per non deludere i giudici. E sette giorni dopo essere uscito da San Vittore, il 25 luglio, è stato nuovamente arrestato a Milano, sempre in via dei Transiti da una pattuglia del commissariato «Greco Turro», con l'accusa di spaccio e resistenza a pubblico ufficiale.

Non si stupiscono di casi come questo poliziotti e carabinieri. E delineano uno sfondo sconsolante, troppo spesso orfano di qualunque genere di logica e costituito da interminabili trattative telefoniche notturne tra loro, materialmente autori dell'arresto e il magistrato. Che, minimizzando il reato, troppo frequentemente svaluta anche l'operato di chi è impegnato in controlli e appostamenti estenuanti per combattere lo spaccio nelle periferie milanesi.

Il verdetto dei cosiddetti «operatori delle forze dell'ordine» è pressoché unanime: almeno l'80 per cento di coloro che vengono sorpresi a spacciare per la prima volta, soprattutto se sono richiedenti asilo, per il magistrato di turno è passibile al massimo di una denuncia a piede libero.

«Ci capita sovente di arrestare più volte le medesime persone che, mandate a giudizio in direttissima pochi giorni prima, ci ritroviamo a spacciare la medesima sostanza, nel medesimo posto, dopo pochi giorni (Buba docet, ndr) perché l'arresto non è stato convalidato oppure la pena finale ha escluso il carcere. In corso Como capita in continuazione» spiega un poliziotto in servizio al commissariato Garibaldi-Venezia che ha giurisdizione sulla nota strada della movida.

«Al momento del fermo dello spacciatore dovremmo chiamare il magistrato e dire, come del resto ci compete per ruolo secondo la legge, abbiamo già arrestato questa o quella persona. Invece ci limitiamo a sottolineare al pm di turno che secondo noi quella persona sarebbe da arrestare. E poi è lui a decidere. Si fa un'opera di mediazione, ecco cos'è in realtà. Del resto chi si metterebbe a litigare con un magistrato senza temere ritorsioni anche dai propri superiori? - spiega un altro agente in servizio al commissariato Lorenteggio -. Sono troppi i giudici che, se fermiamo in flagranza uno straniero per la prima o seconda volta mentre spaccia, non optano nemmeno per una condanna ai domiciliari. E il ritornello della Procura è sempre lo stesso: la misura cautelare è progressiva».

Significa quindi che in cella per la magistratura ci dovono finire solo i recidivi? E allora il caso di Buba?

«Carcere a parte, gli altri sono tutti impedimenti blandi: non ho mai visto così tanti spacciatori a Milano come negli ultimi due anni - conclude un ispettore della Squadra mobile -.

La maggior parte di questi stranieri, perlopiù profughi, anziché recarsi al commissariato per firmare, ad esempio, alle 15, arriva alle 17. Se lo segnaliamo al tribunale o non ci rispondono o ci sentiamo ribattere è un fatto lieve, ammonitelo. E questo sarebbe un altro modo per interpretare la legge? Sì, ma spingendola verso un solo binario, il loro».

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