
Ripubblichiamo un’intervista all’allora presidente di Fininvest Fedele Confalonieri, uscita sul Giornale del 5 maggio 1995, a poche settimane dalla consultazione referendaria che proponeva, tra gli altri, quesiti sulla tv privata.
Allora, dottor Confalonieri, si va al «giudizio di Dio», come ha annunciato Berlusconi?
«Io direi: il giudizio della Madonna», scherza il presidente della Fininvest».
Anche lei, che è sempre stato per la trattativa, ritiene ormai inevitabili i referendum?
«I margini sono davvero esigui. Ormai siamo a 40 giorni, mi sembra manchino perfino i tempi tecnici per una trattativa e una legge».
Come si è arrivati al punto di non ritorno? Berlusconi non ha forzato?
«Io non sono un politico, ho seguito la vicenda dal mio punto di vista, il punto di vista dell’azienda. Si può dire tutto, ma certo mi sembra almeno curioso aver fissato un appuntamento per la mattina e poi aver avviato nelle stesse ore la procedure d’urgenza per la riforma del consiglio di amministrazione Rai per il pomeriggio. E poi sa, è come nelle guerre quando si cerca di ricostruire chi ha provocato il primo incidente di confine, chi ha sparato per primo. È molto facile addossare agli altri la responsabilità».
Tra i progressisti circola questa interpretazione: Berlusconi è voluto andare al referendum perché non si fida del suoi alleati politici. Come commenta?
«Non mi sembra proprio che gli alleati del polo stiano dando prova di inaffidabilità. E certamente, le assicuro, non lo pensa Berlusconi».
Che cosa pensa della proposta di Previti di trasformare Rai e Fininvest in «public company», in modo che nessun privato superi un determinato tetto azionario?
«Per quanto riguarda la Fininvest, è simile al nostro progetto, dove (come è accaduto per la Mondadori) si prevede la partecipazione azionaria anche a meno del 50 per cento, e contestualmente andare in Borsa. La proposta di Previti potrebbe essere un avvio. Però non credo serva ad evitare i referendum. Se si potevano evitare, certo, era meglio. Visto che ci tocca, cercheremo di giocare al meglio le nostre carte».
L’opinione, pubblica sembra frastornata. Il capogruppo di Forza Italia, Dotti, teme che la formulazione dei quesiti possa provocare errori a valanga, il bis del 23 aprile.
«Io credo che gli argomenti perché la gente voti “no” siano tanti e chiari. Se si crea uno squilibrio e la Rai resta con tre reti mentre la Fininvest con una sola rete non può interrompere i film con la pubblicità, gli effetti li può immaginare anche il cittadino digiuno di economia. Noi faremo di tutto per far capire che si corre davvero un grosso rischio. Abbiamo avuto per molti anni una delle televisioni più ricche del mondo e oggi si profila il pericolo di averne una drasticamente impoverita, con un’offerta di programmi immiserita. Per fortuna la gente sa ragionare. E poiché ragiona si ricorderà che chi ha voluto questi referendum per ridimensionare la Fininvest sono stati soprattutto il Pds e i pattisti di Segni».
Ha letto le dichiarazioni attribuite oggi dalla Stampa a Marcello Dell’Utri, presidente di Publitalia? Dichiarazioni amare: «Perderemo i referendum e le nostre aziende crolleranno di prezzo. Per questo potrebbero venderci prima. Secondo me ci venderanno a Murdoch o a Kirch». E poi, sulla campagna per i referendum: «I comitati per il “no” funzionano poco e male». Che ne pensa?
«Io ho parlato con Marcello. Mi ha assicurato di non aver detto quelle cose. Quanto alle trattative per la Fininvest i contatti con i futuri soci esteri sono avviati, come è noto, e sono fattivi e intensi, a conferma dell’interesse che grandi editori stranieri hanno nei nostri confronti. Nomi? Non posso certo essere io, in questa fase, a farne (è risaputo che il gruppo tedesco Kirch ha più volte dichiarato di essere interessato alla trattativa Pericoli Abbiamo avuto per anni una delle tv più ricche del mondo e oggi si profila il rischio di averne una drasticamente impoverita con Fininvest, ndr)».
Sareste disposti oggi a cedere una rete?
«Nel quadro di un riassetto generale del sistema televisivo potremmo considerare la proposta positivamente a patto che la Rai avesse parità di trattamento e che ci fosse data la possibilità di sfruttare tutte le opportunità imprenditoriali offerte dalla tecnologia, sia via cavo, sia via satellite. Ciò significherebbe poter operare nel campo delle televisioni tematiche come avviene in tutto il mondo: è la strada delle tv a pagamento».
Presidente, che aria tira oggi in Fininvest?
«Buona, siamo una squadra di lottatori».
E il comandante dei «lottatori» come vede la battaglia referendaria?
«È chiaro che non posso che esprimere fiducia. Ci batteremo perché vada bene. Sappiamo che dovremo parare non so quanti colpi bassi. Lei ha visto quello che hanno fatto per la cartellonistica (i cartelloni per i “no” ai referendum ripresi dalla Rai durante la partita di calcio Parma-Juventus, ndr).
Perché non ci hanno pensato anche loro a far piazzare cartelli per il “sì”? Si tratta di un’iniziativa consentita, potevano adottarla anche loro. Invece eccoli protestare, andare gonfi d’arroganza a protestare dal garante. Mi sembra un episodio che la dice lunga. Del resto, l’avevamo già visto con la par condicio, di che pasta sono fatti i nostri avversari».