"Non prima di Pasqua". La timeline sul referendum che potrebbe riformare la giustizia la dà il ministro Carlo Nordio (nella foto), il motivo è chiaro: eleggere con il sorteggio il nuovo Csm che scade a gennaio 2027. La decisione di Palazzo Chigi di far slittare la data a gennaio non cambia la finestra temporale dove cadrà la consultazione: i weekend del 15 o del 22 marzo. Non oltre. Da allora a ottobre si possono buttar giù le norme attuative per non applicare le vecchie regole.
Anche di questo si è parlato nel vertice l'altra sera tra il presidente del Comitato del "No" Giovanni Bachelet e i leader dell'opposizione Elly Schlein, Giuseppe Conte, Angelo Bonelli e Nicola Fratoianni. L'esultanza della sinistra in Parlamento che parla di "blitz sventato" suona come una vittoria di Pirro. L'opposizione, la Cgil e l'Anm sono convinti che con maggior tempo a disposizione è possibile a convincere più persone a votare No, staccato di almeno 10 punti secondo il sondaggio di Italia Oggi. "Anche il 22 marzo sarebbe una forzatura", insiste chi ha suggerito l'escamotage di raccogliere le firme - arrivate a 130mila grazie a quelle digitali - per (ri)chiedere la consultazione nel tentativo di far slittare a dopo Pasqua la data. Ma il referendum l'ha già indetto il Parlamento, lo spiega bene il costituzionalista Stefano Ceccanti, che rappresenta "la sinistra per il Sì" assieme a Enrico Morando, Benedetto Della Vedova, Claudio Petruccioli, Cesare Salvi e Anna Paola Concia, che ne parleranno a Firenze il 12 gennaio. Persino la magistratura si presenta in ordine sparso: "Da Palermo a Pordenone molte toghe in servizio votano Sì", ricorda il vicepresidente della Camera Giorgio Mulè (FI) al Resto del Carlino Anche il centrodestra ha già predisposto diverse iniziative, la prima sarà quella del 24 gennaio all'Ergife di Roma con l'ex presidente delle Camere Penali Giandomenico Caiazza ("Si separa" di Fondazione Einaudi) e la compagna di Enzo Tortora Francesca Scopelliti (Comitato Sì alla giustizia) sponsorizzata da Forza Italia.
Nel bailamme di un referendum sempre più politicizzato piomba l'Odg alla manovra approvato ieri notte alla Camera. Grazie ad Andrea di Giuseppe (Fdi) il governo si è impegnato a modificare il voto degli italiani all'estero - pesantemente condizionato dal rischio brogli e dal pressing dei Patronati Inca Cgil sui nostri connazionali, favorevoli al No - attraverso ambasciate e consolati. "È un vulnus democratico di un governo impaurito dal possibile esito elettorale", blatera il responsabile Esteri Pd Peppe Provenzano.
"Trasformare le sedi diplomatiche italiane in seggi elettorali cosicché anche i connazionali residenti all'estero possano votare in presenza - come alle Europee per chi vive nei Paesi Ue - significa garantire il più ampio coinvolgimento elettorale", sottolinea Di Giuseppe al Giornale. Anche per evitare 1,5 milioni di "No" farlocchi denunciati dall'ex pm Antonio Di Pietro che potrebbero condizionarne l'esito.