Magistratura

Riforma, pontieri in azione per evitare la guerra totale

Nordio va avanti sul concorso esterno: "Un ossimoro". Salvini frena e Sisto (Fi) non vuole tagliare tutti i ponti

Riforma, pontieri in azione per evitare la guerra totale

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Pensare di governare per altri quattro anni in un clima di guerriglia permanente con la magistratura rischia di ingolfare la macchina delle riforme. È questo in sintesi l'approccio di chi, all'interno della maggioranza e segnatamente di Forza Italia, lavora in queste ore per non tagliare i ponti del dialogo con le toghe: in testa ai «pontieri» il viceministro della Giustizia, Francesco Paolo Sisto, che invita a isolare i «talebani» dei due fronti. Ma non è affatto detto che ce la faccia. Perché è forte anche la voce di chi teme che il dialogo si traduca in un lungo traccheggiare in cui alla fine le riforme non si fanno più.

A rafforzare le «colombe» c'è il dato oggettivo emerso nelle ultime ore: all'interno dell'Associazione nazionale magistrati stanno emergendo divisioni nette, le interviste di magistrati moderati come Ilaria Perinu che si dissociano dai toni «esagerati» dei comunicati ufficiali non sono passate inosservate. Più il governo sceglie la strada del dialogo, si ritiene, e più si evita che l'Anm si ricompatti come accaduto all'indomani delle tre «veline» anonime diramate nei giorni scorsi da Palazzo Chigi e dal ministero di via Arenula. «Vivere l'intera legislatura come un regolamento di conti con i pm non porta da nessuna parte», dice uno degli esponenti di questa corrente.

Su un punto il centrodestra è compatto: l'epoca del potere di veto da parte dell'Anm su qualunque intervento sulla giustizia è finita. Alle ripetute invasioni di campo dei «duri» dell'Anm la risposta di tutta la maggioranza è stata: le riforme le fa il Parlamento. Il problema è che poi, in concreto, su quali riforme siano più urgenti e indispensabili, all'interno del centrodestra ci sono sensibilità diverse.

Il caso più vistoso è l'intervento sul reato di concorso esterno in associazione mafiosa, considerato indifferibile da tutta Forza Italia ma su cui la Lega - che per ragioni geografiche non l'ha provato sulla sua pelle - non ha fretta: «Non è tra le priorità», dice ieri il vicepremier Matteo Salvini. Su questo fronte Forza Italia ha un appoggio importante, quello del ministro Carlo Nordio, che è tornato ieri a definire il reato un «ossimoro», e a ribadire la necessità di una legge che lo definisca meglio. Ma è chiaro che non sarà una legge dalla gestazione breve né dal percorso facile, anche perché dai vari forum antimafia stanno alzandosi lagnanze di ogni tipo. Sostanzialmente compatta la maggioranza appare invece su due provvedimenti che, anche grazie alla opposizione dell'Anm, hanno assunto un forte valore simbolico. Il primo è l'abolizione dell'abuso d'ufficio, che inizierà il suo cammino al Senato appena ottenuto il nulla osta dal Quirinale. Il secondo è la separazione delle carriere, che fa parte del programma di governo ed è fortemente sostenuta anche dal Terzo Polo: ma qui è tutto più complicato perché anche col voto dei renz-calendiani non si arriverà ai due terzi dei e quindi si andrebbe sicuramente al referendum confermativo, che si tradurrebbe inevitabilmente in uno scontro frontale nel Paese sul rapporto tra politica e magistratura. Giorgia Meloni pare non scalpiti all'idea.

Ma dentro il fronte garantista c'è chi pensa che il referendum si possa vincere: e da quel momento in poi il diritto dell'Anm di invadere le prerogative del Parlamento sarebbe archiviato per sempre.

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