"Riportiamoli a casa": Milano resiste all'odio

Città tappezzata di volantini con i volti degli ostaggi israeliani. Subito vandalizzati dai filo-Hamas

"Riportiamoli a casa": Milano resiste all'odio
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C'è la Milano furiosa che scende in piazza a fianco del popolo palestinese, scandendo slogan come «Israele assassino» oppure inneggiando allo sterminio degli ebrei. E poi c'è la Milano sempre solidale, ma che porta avanti battaglie di civiltà senza sentire il bisogno di manifestare quell'odio cieco che sta esplodendo nei cortei che hanno invaso l'Italia da quando è iniziata la guerra tra lo Stato ebraico e Hamas.

A rappresentarla è un gruppo di israeliani ed ebrei italiani tra i venti e i trent'anni del capoluogo lombardo che ieri all'alba hanno appeso i volantini con le foto degli ostaggi israeliani in mano ad Hamas. Il blitz è scattato in centro città, con le cabine telefoniche e i mezzanini delle metropolitane Cairoli, Duomo e Cordusio tappezzate dai volti dei civili sequestrati dai terroristi islamici. I fogli riportano le facce dei bambini, dei ragazzini e degli anziani in ostaggio a Gaza, sotto alla scritta «rapiti» su sfondo rosso e in fondo il messaggio «per favore, aiutateci a riportarli a casa vivi». Un'immagine carica del dolore e dell'apprensione che stanno provando in questo momento le famiglie sostenute da un popolo intero.

L'autrice di questa iniziativa è una ragazza ventunenne nata e cresciuta a Milano, ma da qualche anno residente in Israele, da dove è rientrata una settimana e mezzo fa. Intercettata dall'Ansa, la giovane ha motivato l'azione dimostrativa del gruppo spiegando che la città era rimasta silenziosa di fronte alle atrocità commesse dal movimento islamista, a differenza di altre metropoli europee. Precisando, poi, che la ragione per la quale lei e gli altri attivisti si sono mossi alle prime ore del mattino andrebbe ricercata nel «clima di odio» e «antisemitismo» che si vive nel nostro Paese. «C'è un livello di odio che la gente deve conoscere», ha aggiunto.

Un gesto, a cui comunque ne seguiranno altri, che ha suscitato reazioni toccanti sui social. «Queste foto degli ostaggi di Hamas, tenuti prigionieri a Gaza, pubblicate all'alba oggi a Milano, significano molto per me», ha commentato lo scrittore israeliano Anshel Pfeffer, firma di Haaretz e dell'Economist. «Milano ha scritto è dove mia nonna trovò rifugio quando fuggì dalla Germania nazista e mio nonno la incontrò e ricostruì la sua vita dopo essere sopravvissuto ai campi. La storia si ripete».

I soliti violenti, però, non si sono smentiti. Dopo qualche ora, i manifesti a piazza Castello sono stati strappati. In alcuni casi perfino calpestati con l'impronta ben visibile delle scarpe sulla carta bianca. Episodi di intolleranza purtroppo già visti e raccontati anche fuori dai confini tricolori. Si tratta infatti di una campagna internazionale ideata da due artisti di strada israeliani, Nitzan Mintz e Dede Bandaid, i quali, stampando 2mila volantini a New York, hanno ispirato operazioni identiche in tutto il mondo. A Milano come nella Grande Mela, teatro di altrettanti raduni, l'accanimento dei filopalestinesi ha però offuscato le buone e sacrosante intenzioni di chi invoca il rilascio degli oltre duecento innocenti rapiti quel maledetto 7 ottobre.

Se il conflitto in Medio Oriente prosegue ad alta intensità, anche l'onda pro-Palestina cresce e preoccupa per le implicazioni che potrebbe avere in un futuro non troppo lontano. La rabbia inaudita delle migliaia di dimostranti che strumentalizzano i loro vuoti appelli per la pace e la protesta contro l'escalation militare (ma solo se è Israele ad attaccare) rischia di tradursi in atti estremi. È una bomba che si sta via via innescando soprattutto nel capoluogo meneghino.

Le piazze milanesi a ottobre hanno sdoganato l'antisemitismo in tutta la sua potenza, svelando la natura bifronte di una città segnata da fratture ideologiche anacronistiche. Ma che vanta ancora un presidio di resistenza, quella vera, dei suoi cittadini silenziosi che non fanno ricorso a principi primitivi come l'odio e la violenza.

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