
Prima di essere il ministro dell'Istruzione, Giuseppe Valditara è uno studioso di diritto romano e un intellettuale quanto mai attento al dibattito pubblico. Questi tratti emergono con nettezza nel suo recente volume intitolato La rivoluzione del buonsenso. Per un Paese normale, appena uscito per l'editore Guerini. Il testo dedica numerose riflessioni ai temi della scuola, ma affronta anche e soprattutto il "caso italiano" a partire da quella cultura prevalente in cui troppe volte dominano tesi indifendibili.
Valditara richiama l'attenzione sulla necessità di riconoscere l'importanza del buon senso. Egli intende evocare quel "senso comune" su cui hanno riflettuto molti filosofi e che rinvia a princìpi largamente condivisi, quale risultato di un processo storico che ha setacciato taluni valori e scartato altri. Senza mitizzare tale nucleo di idee frutto di un'evoluzione secolare, il libro sottolinea come il progressismo liquidi sbrigativamente le nostre opinioni e il nostro sguardo sul mondo.
Una delle ragioni che spingono i leader della sinistra lungo questa strada sta nel carattere elitario di questo piccolo ceto, dirigista e presuntuosamente pianificatore, che considera i cittadini qualunque come una realtà da "rifare". Larga parte del mondo intellettuale, in effetti, è incapace di sintonizzarsi con le difficoltà di chi patisce le conseguenze di un'immigrazione massiccia oppure di un discorso pubblico egemonizzato dai temi woke.
D'altra parte, fin dall'Unità la scuola è il campo di battaglia privilegiato della cultura d'avanguardia: durante la fase post-risorgimentale, nel Ventennio fascista ed egualmente nell'età repubblicana. L'idea che l'Italia era stata fatta e che ora bisognare fare gli italiani ha interpretato alla perfezione questo modello intimamente autoritario (poi replicato anche con altri contenuti) che collega Bertrando Spaventa e Francesco De Sanctis a Giovanni Gentile, e che arriva fino ad Antonio Gramsci. Quest'ultimo, in effetti, progetterà di realizzare il socialismo attraverso la conquista delle casematte intellettuali e, da lì, grazie all'opera degli insegnanti.
Se l'autore dei Quaderni dal carcere immaginava la fine del capitalismo, qualcosa di quel progetto è rimasto in piedi: nel disprezzo per il diritto e la proprietà, delle autorità liberamente scelte e della competizione. Ma a tutto ciò la sinistra liberal ha aggiunto altro, a partire dai temi dell'ambiente, del genere e dell'etnia.
Valditara riconosce allora l'urgenza di sconfiggere la strategia su cui per decenni il partito democratico statunitense ha costruito le proprie fortune e che ora, con qualche variante locale, è riproposta dai post-comunisti europei: un'alleanza di gruppi che vengono rappresentati come "oppressi" (minoranze etniche oppure stranieri, donne oppure omosessuali, e via dicendo) e che diventano oggetto di una carità pelosa volta a moltiplicare favori. Alla fine, anche quanti non sono vittime, nel momento in cui vengono rappresentate in tal modo, si ritrovano davvero in una condizione di marginalità. Al riguardo in sociologia si parla di "una teoria che si autoavvera".
L'esito è inquietante e si concretizza anche nel venir meno della libertà di parola. Soprattutto in ambito scolastico regna un clima che impone a tutti, volenti o nolenti, un lessico ben preciso, detto "inclusivo", e che nei fatti ci trascina in un universo latamente orwelliano. Perché il linguaggio dell'uomo della strada è il luogo più proprio di quel senso comune che cambia insieme ala società. Ma tutto questo non va bene ai giacobini del Terzo Millennio.
Di fronte all'estremismo della sinistra woke, sempre pronta stilare la lista nera dei nuovi "negazionisti" (quando uno dei loro dogmi è posto in discussione), per Valditara è necessario recuperare il senso della propria identità.
Specie in un'epoca di crescenti interconnessioni, oltre che di massicce migrazioni, gli europei devono sapere chi sono; e mentre la cultura della cancellazione vorrebbe buttare al mare tutta la tradizione (dalla Bibbia allo jus civile, dalla metafisica greca al cristianesimo, fino a Dante, Shakespeare, Goethe e via dicendo), abbiamo il dovere di comprendere anche con spirito critico quanto c'è di formidabile nel nostro passato. Essere qualcosa è anche la condizione per non diventare il costante oggetto della manipolazione di chi (forse) vuole anche il nostro bene, ma l'intende alla sua maniera e intende realizzarlo a qualsiasi costo.