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Dopo Roma, il caso Milano. È scontro tra Pisapia e il Pd

Dopo Roma c'è il "caso Milano". Botta e risposta polemico tra il vicesegretario Guerini e il sindaco arancione. La corsa a Palazzo Marino nel 2016 è partita

Dopo Roma, il caso Milano. È scontro tra Pisapia e il Pd

«Pisapia stai sereno». Dopo i fallimenti di Roma e Napoli, il Pd strapazza un altro sindaco. Secondo Repubblica uno spazientito ultimatum è stato indirizzato al primo cittadino di Milano dal braccio destro di Matteo Renzi, Lorenzo Guerini: «Ci dica presto se si ricandida o no» avrebbe detto il vicesegretario, a lungo dominus della vicina Lodi. È scoppiato il finimondo: i democratici locali, oltre a smentire in coro, hanno ipotizzato che qualcuno a sinistra possa avere «interesse a dividere». Poi in serata, visto il pasticcio, lo stesso Guerini ha smentito. E Pisapia che aveva risposto indispettito («Non mi faccio certo dettare l'agenda dalla segreteria nazionale del Pd») ha fatto sapere di aver «apprezzato» la retromarcia.

Ultimatum o no, è chiaro che l'amletico sindaco oggi rappresenta un problema. «Si è aperta ufficialmente la campagna elettorale per il dopo Pisapia» l'affondo del segretario regionale di Forza Italia Mariastella Gelmini. «Roma e Milano governate dal centrosinistra allo sbando, ora il Pd se ne accorge» rincara Giovanni Toti, eurodeputato e consigliere politico di Forza Italia. In effetti, di recente proprio Repubblica in un'analisi indicava a Pisapia tre priorità: casa, degrado e allagamenti del Seveso. Lungi dall'essere risolte, le tre emergenze sono esplose, o meglio «esondate», travolgendo l'immagine di Palazzo Marino. «Mi sembra che Pisapia sia sulla stessa barca di Marino e che dal Pd riconoscano il fallimento», commenta Matteo Salvini, che può permettersi di usare toni da fair play : «Pisapia è una brava persona - riconosce il segretario leghista - ma ha una squadra che non è all'altezza». Insomma, Palazzo Marino è al centro di uno smottamento. E non è detto che la colpa sia solo del sindaco. Se il Pd volesse cambiare cavallo, però, dovrebbe offrire a Pisapia una via d'uscita dignitosa (Renzi incautamente disse che sarebbe stato un ottimo ministro della Giustizia). D'altra parte, se Pisapia si decidesse a correre per il bis, nessuno potrebbe impedirglielo, anche perché la carenza di alternative è cronica. Però il Pd in città ha ottenuto il 45% alle Europee e ora vuol farlo pesare: eventualmente presentando un suo uomo (o donna), sicuramente cambiando «modulo» rispetto alla scombiccherata alleanza che nel 2011 ha vinto mettendo insieme l'eterna alta borghesia cittadina e i centri sociali, un blocco sociale che non sta in piedi, come dimostra l'emergenza occupazioni deflagrata negli ultimi giorni.

«Nel 2016 si vince nelle periferie - dicono nel Pd - e noi ci siamo». Se ci sono, avranno modo di incontrare lo stesso Salvini (aspirante candidato) e i suoi «lumbard», che non perdono occasione di sostenere i molti comitati di quartiere di cittadini delusi (come quelli che a Niguarda hanno pacificamente occupato il Consiglio di zona per chiedere risposte sulla dilagante insicurezza). Ma possono incrociare anche il ministro Ncd Maurizio Lupi, che continua a dedicare almeno un giorno a settimana alle periferie per coltivare il suo sogno di candidarsi a sindaco nella città in cui è stato assessore. E ci troverà Forza Italia, mobilitata con i gazebo e i suoi consiglieri, per incanalare il malcontento diffuso in quello che Gelmini chiama «un progetto serio» da costruire con «le forze vive della società milanese» e i moderati riuniti. Pisapia sembra voler aspettare l'esito di Expo per sciogliere la riserva.

Per ora sta (poco) sereno.

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