Il giorno dopo gli esami ci si lecca le ferite, ci si rimbocca (ancora) le maniche, si tenta di rimediare agli errori compiuti davanti alle impietose telecamere del confronto tv.
Le regole «all'americana» di Sky paiono aver influito, sui candidati romani, accentuandone i punti deboli. L'insopportabile arietta da prima della classe della Raggi, la mitraglietta da salotto tv della Meloni, la mediocrità assoluta di Giachetti, l'aspetto da ferroviere bulgaro di Fassina, una certa (forse persino troppa) disinvoltura da ricco di Marchini. Briciole di verità sul prossimo voto per il Campidoglio, dopo tale abboffata di promesse, può giungere solo dall'esterno della mischia. «Se si vota a Roma è perché il Pd ha eletto un sindaco e poi l'ha mandato a casa perché totalmente incapace», ricorda il leghista Salvini, che oggi pare costituire una zavorra per la Meloni, e cerca di sottrarsi alla gaffe da mitomane pro-Trump attaccando il riccastro di casa nostra. «Marchini s'è fermato con la Ferrari in tangenziale», riattacca. Ma a Roma tutti già lo sanno (e magari gliela invidiano).
È proprio dal candidato che Berlusconi ribadisce essere «l'unico adatto a fare il sindaco», uno degli ultimi colpi dell'estenuante campagna elettorale. Ieri Marchini ha annunciato corposi tagli all'Irpef comunale: «Possiamo quasi dimezzarla, passando dallo 0,9 allo 0,5». Come? Dimezzando il peso degli interessi che ormai sono assai lontani dal vero tasso di sconto praticato dalle banche, dice. «Nessun manager potrebbe accettare di vedere la propria azienda pagare mutui al 5 per cento, cioè al doppio dell'attuale offerta del mercato; con la mia proposta non solo potremmo riportare gli interessi passivi al valore dei Btp, ma anche rimodulare la scadenza. I romani avrebbero più soldi in tasca». Anche la Tari sui rifiuti potrebbe essere abbassata del 10 per cento, giura Marchini, solo «recuperando entro il 2017 circa 120 milioni della cospicua evasione fiscale, grazie a una task force in ogni municipio». Siccome «gli altri chiacchierano, ma tagliare le tasse si può e si deve» conclude Marchini, la sua squadra di assessori «rinuncerà a ogni identità finché non riusciremo a raggiungere questo obbiettivo».
Il resto della truppa, intanto, passa il tempo che manca all'apertura delle urne in attacchi incrociati, sfottò, frizzi e lazzi. Virginia Raggi, decretata la «più votabile» dal televoto Sky (è un gioco taroccarlo, si ribellano gli altri candidati), nega di essere telecomandata dallo staff grillino. Ma conferma, subito dopo, che si dimetterebbe appena ricevuto un avviso di garanzia, «se me lo chiedesse Grillo». Giorgia Meloni, felice per un endorsement in suo favore della moglie di Fiorello, stuzzica l'«amico Giachetti» perché renziano. Proprio mentre lo scialbo candidato pescato nel mazzo da Renzi cerca di smarcarsi dall'abito che fa il monaco. Sia perché ha appena avuto da Bersani la conferma che anche la minoranza pidina sarà compatta nel sostenerlo pancia a terra (difatti i sondaggi paiono registrare un ricompattamento delle filiere storiche del Pd-Ds-Pds-Pci). Ma anche per scongiurare che, in caso di sconfitta, il tonfo investa il premier. «Sono io a vincere o perdere», rivendica. E ringrazia Bersani: «Mai avuto dubbi sul suo appoggio».
La storia sembra così far tornare a ritroso le proprie lancette, non più implacabili: appunto a quel Pd padre-padrone incontrastato di Roma. Mafia capitale? Un incidente di percorso, portato ormai via dalla corrente del Tevere. Aureo già al tempo dei romani antichi, per non dire torbido.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.