Politica estera

Sì alla mediazione egiziana, tregua tra Israele e Jihad

Da ieri sera il cessate il fuoco a Gaza. Ma per tutta la giornata ancora razzi e quattro vittime

Sì alla mediazione egiziana, tregua tra Israele e Jihad

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L'Egitto ce l'ha fatta. È riuscito nella mediazione fra Israele e la Jihad islamica e ha ottenuto un cessate il fuoco che è entrato in vigore già alle 22 ore locali di ieri, le 21 in Italia. Lo ha riferito la televisione pubblica israeliana Kan, secondo cui le due parti hanno dato il proprio consenso alle proposte egiziane, che prevedono l'interruzione dei bombardamenti e le uccisioni mirate delle forze di difesa di Israele in cambio della rinuncia da parte della Jihad a chiedere la fine in maniera permanente degli attacchi mirati contro i suoi comandanti militari e la restituzione del corpo di Khader Adnan, l'esponente della fazione morto in un carcere israeliano a causa dello sciopero della fame, episodio che ha scatenato l'ultima escalation della tensione. I primi ad accettare le proposte egiziane sono stati gli esponenti della Jihad, e solo in serata è arrivato anche il sì dei delegati di Gerusalemme.

La buona notizia è arrivata un po' a sorpresa, dopo che nelle ore precedenti era circolato un certo pessimismo sull'esito delle trattative che sembravano ristagnare. E ancora per tutta la giornata di ieri il sangue ha continuato a scorrere in Israele e nella striscia di Gaza: sono continuati a piovere razzi della Jihad islamica da Gaza verso ed è andata avanti la reazione dell'aviazione israeliana sulla Striscia. Dall'inizio dell'ostilità sarebbero stati almeno mille i razzi lanciati dall'enclave palestinese, ottocento dei quali giunti in territorio israeliano, la gran parte dei quali intercettati dal sistema Iron Dome. La risposta di Israele è consistita in 325 attacchi sulla Striscia a postazioni della Jihad.

Il bilancio di ieri è di due palestinesi uccisi e altri feriti in scontri con l'esercito israeliano nel campo profughi di Balata nei pressi di Nablus in Cisgiordania: Saed Jihad Shaker Mashah (32 anni) e Adnan Wasim Yousef Al-Araj (19) sono stati colpiti da «proiettili alla testa durante il raid». Un morto anche in Israele, a causa dell'esplosione di un razzo della Jihad in una foresta israeliana vicina alla Striscia: si tratta di un pastore palestinese originario di Gaza che è stato ricoverato all'ospedale di Beer Sheba e lì è spirato. Grave anche un suo collega mentre un terzo è rimasto ferito in modo più lieve. I tre lavoravano in Israele e lì erano rimasti bloccati all'inizio delle ostilità. Un altro palestinese originario di Jenin è stato colpito a morte al valico di Reihan, fra la Cisgiordania e Israele dopo che, secondo quanto riferito da un portavoce militare, «si è avventato in direzione degli agenti con un coltello in mano».

E malgrado i continui allarmi aerei che bucano il silenzio nel Sud di Israele, il Paese ha vissuto la diciannovesima settimana consecutiva di manifestazioni di protesta contro la riforma giudiziaria intrapresa dal governo Netanyahu. Le proteste ieri sono avvenute in tono minore. A Tel Aviv la consueta manifestazione di massa nel Viale Kaplan (presso la sede del ministero della Difesa) è stata annullata per motivi di sicurezza ma centinaia di dimostranti sono sfilati egualmente, scandendo slogan contro il governo. Manifestazioni più nutrite sono state organizzate invece in zone di Israele non esposte ai lanci di razzi da Gaza.

La principale è avvenuta a Haifa, e vi hanno preso parte migliaia di persone.

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