Sangue, orrore, morte: eroine in divisa. Quel fotogramma che cambia la guerra

Torna la richiesta di tavolo per gli ostaggi dalle famiglie. Ma Tel Aviv, con l'ok degli Usa, punta alla vittoria finale

Sangue, orrore, morte: eroine in divisa. Quel fotogramma che cambia la guerra
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Ogni giorno quando, ormai, da sette mesi la radio alle 6 di mattina, annuncia: «È permesso comunicare che...» e si dice il nome di un giovane ucciso in battaglia, è una contrazione dell'anima, il suono di un metallo accartocciato. In un Paese così piccolo, molti sono amici o parenti. Ma da mercoledì si è aperta una ferita ignota con il filmato con le ragazze della base militare di Nahal Oz, insanguinate e brutalizzate, eppure civili, coraggiose, composte davanti alla minaccia definitiva, nelle mani di quei giovani nazisti, a metà fra l'estasi religiosa e una patetica eccitazione famelica nell'avere nelle mani le ragazze di cui fare scempio. A lato, è uscito anche il film del giovane di Hamas che racconta senza scomporsi come, insieme con suo padre e suo zio, ha violentato e poi ucciso. Gaza questo produce.

Il film sulle ragazze è stato mostrato seguendo le indicazioni delle famiglie, non si vedono i corpi senza vita, né ciò che le prigioniere vedono, la strage delle compagne. Le cinque ancora nelle mani di Hamas sono Liri, Karina, Agam, Daniela, Naama (quella che dice «ho amici in Palestina», cercando di comunicare agli assassini il suo impegno nel dialogo), ma a decine sono state macellate e violentate sul posto. Dalle 7 alle 13, solo due soldati volontari mentre l'esercito versava nella maggiore confusione arrivarono a cercare di salvarle.

Dall'orrore e dalla pena nascono due domande per tutto il mondo. Che cosa si deve fare quando il nemico mostra una crudeltà e una determinazione che rompe ogni regola, ogni speranza di dialogo? Le famiglie dei rapiti chiedono la trattativa fino in fondo, a tutti i costi, in molti sono per la fine della guerra (una posizione che nel Paese però coinvolge poco più del 30%). Dall'altra parte, la convinzione è che solo con la pressione delle armi Hamas possa essere costretta a cedere gli ostaggi, che altrimenti sono lo scudo di Sinwar. È ciò che ha detto ieri il ministro Gallant dalla spiaggia di Gaza: siamo a Rafah, combattiamo, il confine con l'Egitto è quasi tutto nelle nostre mani. Piegheremo i mostri e recupereremo gli ostaggi. Netanyahu spiega con intento diplomatico a Usa e Ue che non ha nessuna intenzione di occupare Gaza. Biden raccoglie, probabilmente al fondo c'è la percezione strategica che da Hamas non ti viene nulla e tanto meno dall'Iran. Oltre ad avere condannato la Cpi che equipara Bibi a Sinwar, ha cambiato tono su Rafah: Israele può entrare.

Nonostante le accuse insensate dell'Onu di usare la fame come arma, continua il grande lavoro per fornire aiuti umanitari. Però, sotto la superficie, c'è anche l'idea che Hamas deve essere levato di mezzo, perché ostacola ogni piano. Qui, la dissonanza sullo Stato palestinese, un vero scivolone europeo, un regalo che indebolisce la battaglia e la trattativa e fa gioire Sinwar. I tre ambasciatori di Spagna Irlanda e Norvegia, sono stati invitati dal ministro degli esteri Israel Katz a vedere da lui il film sulle ragazze rapite. Ma ora sono convinti, di fronte al sangue, all'indottrinamento violento, che uno stato palestinese è prematuro, un pericoloso premio a Hamas? Probabilmente no.

E oggi i giudici della corte internazionale di giustizia, devono decidere se dichiarare Israele genocida e chiederle di cessare la guerra. Dopo avere, si spera, visto, il film su Nahal Oz. È mai possibile una simile perversione?

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